Le parole sono preziose
Le parole non sono un’immagine sbiadita delle cose, ma il loro contenuto essenziale.
L’empirismo, la pedagogia e tanto senso comune disprezzano il linguaggio e considerano le parole un misero surrogato della realtà. Non comprendono che le parole non stanno al posto delle cose, ma ne sono il contenuto essenziale, esprimono cioè non la cosa percepita o immaginata, ma la cosa nelle leggi che la determinano. Aristotele, a cui si riserva un disprezzo proporzionale all’ignoranza, osserva che, mentre la proposizione ha un rapporto diretto con la realtà (è vera o falsa), la parola si rapporta anzitutto ad altre parole: una parola (albero) è una specie dei suoi generi superiori (pianta, vivente ecc.) ed è genere delle specie che le sono inferiori (melo, pesco ecc.). Ma nei generi e nei loro predicati si esprimono gli aspetti essenziali, le leggi della realtà: se so che la pianta è un vivente, so di essa tutte le leggi che so del vivente: che necessariamente si nutre, si riproduce, si ammala, muore… Conoscere una parola consiste dunque non nel connetterla all’immagine di una cosa e restare delusi perché non ha colore né sapore, ma alle parole che sono suoi generi e che ci fanno conoscere le leggi che la riguardano. Conoscere una parola non è dunque scivolare nell’irreale, ma entrare nella sfera essenziale della realtà. Applicarla, poi, non è mettere un’etichetta per semplificarci la vita, ma illuminare un essere collocandolo nel contesto dei suoi riferimenti necessari: se so a quali generi è connessa la parola ‘albero’, dire “x è un albero” è conoscere le leggi di x. In quanto sono un sistema logico in miniatura, le parole sono infinitamente più preziose delle cose empiriche.