Dante? No, grazie. In arrivo, prossimamente, la “scuola à la carte”.
In una scuola, per decisione del Dirigente, due studenti di religione islamica sono stati esentati dallo studio di Dante e della Commedia in quanto ritenuta potenzialmente offensiva.
La notizia per cui, in una scuola, per decisione del Dirigente, due studenti di religione islamica sono stati esentati dallo studio di Dante e della Commedia in quanto ritenuta potenzialmente offensiva, ha destato un certo – motivato – scalpore; e fa, del resto, sussultare violentemente anche la vecchia insegnante di Lettere sopita dentro di me.
Però, siccome è importante non fermarsi alle impressioni, immediate e subitanee, ma analizzarle sapendo rendere ragione del perché certi eventi suscitino determinate reazioni (e, sia detto en passant, questo superamento dell’emotività del momento in favore della riflessione mi sembra uno dei primi doveri della scuola e dell’insegnante, quale che sia la sua materia di insegnamento), proviamo a scomporre il senso di profondo, scandalizzato stupore che ha suscitato, di primo acchito, in me – e non certo solo in me – questa decisione.
Per prima cosa, verrebbe da dire, secondo la ratio (chiamiamola così) che ha guidato questa decisione, si può supporre che il programma di lettere verrà anche decurtato di altre parti, quali per esempio Tasso e la Gerusalemme Liberata, e, perché no, dei Promessi Sposi, così insopportabilmente impregnati di bacchettonaggine cattolica. E, quanto allo studio della storia, immagino che potrebbero essere abbattuti anche quello delle Crociate, o della battaglia di Lepanto.
In seconda battuta, come si ragionava tra i colleghi del Gessetto, a questo punto lo studio della Commedia potrebbe essere con ragione abolito anche per tutta una serie di altre categorie che con ragione dovrebbero sentirsi offese: per esempio, Dante non è tenero nemmeno con i Pisani (si veda Inf. XXXIII) e i Fiorentini (quante volte Dante se la prende con i suoi concittadini criticandoli con violenza!): che facciamo, diamo un taglio allo studio della Commedia nelle scuole di queste due città?
E allora, procedendo su questa linea, in quanto donna mi sento particolarmente offesa e risentita per le espressioni sminuenti che Seneca (e tutta una serie di altri pensatori, antichi e non) riserva al genere femminile, in quanto debole, privo di razionalità, schiavo della emotività del momento, e così via: possiamo allora chiedere che per tutte le studentesse di liceo e universitarie l’autore delle Lettere a Lucilio sia messo al bando? A proposito, di questo passo, in quanto donna, chiedo di essere esentata anche dallo studio di Giovenale, per la sua furiosa misoginia.
Ma questo non farebbe altro che far scadere anche il nostro insegnamento scolastico nelle spire del più riduttivo e supino adeguamento a un malinteso senso di politically correct, come, purtroppo, già sta succedendo in altre parti del mondo.
Decisioni come quella della “dispensa dalla Commedia” sono, a nostro modesto avviso, miopi e prive di fondamento, oltre che particolarmente dannose, perché una delle competenze che la scuola deve sviluppare (ma questa, chi sa come mai, si tende a dimenticarla) è la “consapevolezza ed espressione culturale”. Volenti o nolenti, Dante è un caposaldo della cultura italiana, europea, occidentale – e non sono certo io a dirlo: banalmente, non è possibile capire la letteratura italiana senza la Commedia.
Sarebbe come togliere le fondamenta di un edificio, e poi provare a costruire comunque una casa di più piani. Che piaccia o che non piaccia, Dante è uno di quegli autori che costituiscono un pezzo non indifferente della identità culturale italiana: fanno dunque un danno enorme agli studenti, se proprio vogliamo dirlo, anche in termini di inclusione (non solo in termini culturali) coloro che abbuonassero loro lo studio della Commedia per un qualsivoglia motivo, anche credendo di andare incontro alle esigenze e bisogni dei ragazzi.
Non solo: questa decisione si rivela, a voler pensare nel modo più benevolo possibile, terribilmente ingenua. La maturità culturale consiste anche e soprattutto nel saper calare e considerare nel suo contesto storico ogni espressione artistica, letteraria, materiale, culturale in senso lato, senza giudizi anacronistici che si valgono di categorie sconosciute all’epoca: altrimenti, potrei sdegnarmi e scandalizzarmi che in Chiesa, il Venerdì Santo, anche in presenza di bambini – orrore! – , si racconti una triplice esecuzione capitale, attraverso la crudelissima pratica della crocifissione.
Ma l’Occidente nasce all’insegna dello Spirito Critico (scritto volutamente maiuscolo), un atteggiamento dal quale germina quella che è forse la più scientifica delle discipline umanistiche: la filologia, che si concentra, anche e nientemeno, sul testo sacro, permettendosi di emendarlo e valutarlo secondo ragione anche come testo, frutto di un dato contesto storico e materiale, e sul quale è possibile praticare una serie di azioni che mirano addirittura a ristabilire le lezioni corrette ed emendare eventuali errori di trasmissione, con l’ausilio in primis della ragione. E il senso critico, ripetiamolo, non si affina mai agendo sull’onda dell’emotività immediata.
Inoltre, una decisione di questo tipo lede anche la possibilità, in quegli studenti, di capire, e perché no, di apprezzare la poesia di Dante, escludendoli di fatto (altro che inclusione!) da una importante possibilità di educazione estetica e al Bello, oltre che da una concreta possibilità di affinare le loro competenze linguistiche e di comprensione del testo. Infatti, saper comprendere il testo poetico, specialmente se arduo come quello dantesco, è garanzia di saper padroneggiare compiutamente gli strumenti della lingua, in quanto l’espressione poetica è al vertice della complessità comunicativa.
Detto più banalmente: chi capisce davvero un canto di Dante, o un sonetto di Petrarca, o i Sepolcri, o Le ricordanze, comprendendone a fondo lessico, sintassi, figure retoriche, attraverso le quali il poeta ha trasmesso il suo messaggio, ha affinato capacità di comprensione ed espressive che lo mettono al riparo dai fraintendimenti comunicativi, che gli garantiscono cioè di saper correttamente interpretare ogni altro messaggio (pubblicitario, di cronaca, etc.): in altre parole, in questo modo si è al riparo dal rischio di analfabetismo funzionale, o di ritorno, che è un grave spettro per milioni di italiani, anche muniti, a volte, di diploma di scuola secondaria di primo e talvolta di secondo grado.
Nella mia esperienza personale, in oltre vent’anni di insegnamento, nessuno studente di fede e cultura islamica ha mai protestato per lo studio della Commedia, anzi, l’hanno tutti considerato una preziosa opportunità: quello che ho rilevato è stato solo profondo interesse, voglia di capire (perché, come mi disse una studentessa musulmana praticante e profondamente studiosa, “capire Dante mi fa capire un po’ meglio il Paese dove sono nata e dove voglio vivere”), e spesso anche passione. Eh sì: sembra strano, ma anche a Dante ci si può appassionare, e lo sa ogni docente che affronti in aula il testo della Commedia con professionalità e onestà intellettuale, ovvero senza edulcorare le difficoltà che esso presenta. E così negli anni Dante (insieme a Manzoni e altri autori non “facili” dal punto di vista linguistico), nella mia esperienza, ha sempre suscitato interesse appassionato, in tutti gli studenti: se mai, la difficoltà di molti ragazzi italiani, magari formalmente battezzati, comunicati e cresimati, sta nella profonda ignoranza delle basi della religione nella quale sono in teoria cresciuti. Infatti, per loro sono concetti profondamente oscuri le virtù cardinali e teologali, i sacramenti, la classificazione dei peccati in mortali e capitali, etc.. Ma questa è un’altra storia.
Tornando però al caso da cui siamo partiti, se andiamo ancora più a fondo, una decisione come questa è radicalmente rovinosa anche perché, sotto il velame della volontà di andare incontro alle immediate richieste degli studenti, si rivela profondamente penalizzante: e non solo perché li priva di una fetta importante dell’esperienza estetica, di contatto con il Bello e la poesia (e dunque li depriva dal punto di vista formativo e culturale). In generale, infatti, decisioni come questa fanno passare il concetto di una “Scuola à la carte”, che può cioè tagliare impunemente su contenuti culturali considerati accessori o scomodi, e dunque sacrificabili il nome di un bisogno e di un impulso percepiti come immediatamente urgenti, e sui quali però gli studenti non vengono educati a riflettere: una deriva nella direzione di una idea di scuola che valorizzi solo quello che è utile nell’immediato, senza preoccuparsi delle conseguenze a media e a lunga distanza di determinate scelte.
Una deriva alla quale i membri del Gessetto guardano con profonda preoccupazione.