La conoscenza e la scuola

La conoscenza scientifica è dimostrativa; presuppone dunque strutture cognitive non ereditate per via naturale, ma da costruire con consapevolezza e fatica tramite l’insegnamento scolastico. La pedagogia, che disprezza la conoscenza dimostrativa, è causa della rovina della scuola.

Ignorare l’essenza e le vicende della scuola è il peccato più grave che possa commettere chi voglia arrestarne la rovina. Questa ignoranza particolare comporta infatti la disponibilità ad ammettere un diritto generale all’ignoranza: chi parla di ciò che ignora afferma implicitamente almeno la superfluità della conoscenza. Proprio la certezza che la conoscenza sia superflua oppure dannosa è però il principio della rivoluzione pedagogica che sconvolge la scuola da decenni. È necessario dunque indugiare su cosa sia la conoscenza e capire se la si possa impunemente disprezzare, per poter decidere se i pedagogisti stiano indicando alla scuola la via del progresso oppure se la stiano sviando e sia urgente che essa ritorni sui suoi passi.

La tradizione filosofica distingue due fonti della conoscenza, quella immediata, intuitiva, e quella che nasce da altre conoscenze, discorsiva, la prima involontaria e inconsapevole, che condividiamo con gli animali, la seconda volontaria e consapevole, soltanto nostra.

Che noi acquisiamo e pratichiamo la conoscenza intuitiva già nel seno materno non implica affatto che essa sia semplice come un riflesso delle cose in uno specchio. Come osserva David C. Geary (1), la conoscenza intuitiva dei viventi dipende da complesse strutture cognitive formatesi per opera dell’evoluzione naturale nella notte dei tempi. Le strutture cognitive che consentono la rappresentazione del mondo e la capacità di orientarvisi si sono sviluppate con i vertebrati 500 milioni di anni fa; quelle che consentono di interpretare le espressioni dei propri simili sono emerse con i primati 25 milioni di anni fa; quelle che consentono all’uomo l’esercizio del linguaggio verbale si sono formate 200.000 anni fa. È l’inimmaginabile antichità della sua formazione che conferisce alla conoscenza intuitiva la sua facilità.

La facilità della conoscenza intuitiva, per cui l’acquisiamo giocando e la pratichiamo senza sforzo, è dunque solo apparenza; in realtà l’intuizione implica strutture cognitive di vertiginosa complessità, costruite in milioni di anni di fatica dall’evoluzione naturale; ma noi possiamo ignorarlo, perché ci sono regalate pronte all’uso.

La facilità soltanto apparente dell’intuizione ha fuorviato una parte importante della filosofia, l’empirismo anglosassone. Concependo come totalità della conoscenza l’intuizione, cioè la semplice constatazione dei fatti, l’empirismo trascura il dato, ben noto già da Platone e Aristotele, che la conoscenza è ricerca e scoperta del loro perché. In quanto cerca e scopre il perché, la conoscenza è scientifica, non solo intuitiva, ma anche dimostrativa: conoscenza nuova che scaturisce da conoscenze precedenti. Il suo primo esempio è la matematica greca. Manifestando già con Bacone diffidenza nei confronti del linguaggio, della tradizione e in particolare della matematica, l’empirismo anglosassone rivela la sua profonda estraneità allo spirito della scienza. In quanto è dimostrativa, la scienza ha bisogno del linguaggio; in quanto la dimostrazione inizia da conoscenze precedenti, la scienza è impensabile senza la tradizione in cui sono conservate le conoscenze acquisite; poiché si sviluppa da una tradizione, essa presuppone la scrittura.

La scrittura è stata inventata 5000 anni fa; la conoscenza dimostrativa risale alla Grecia classica fiorita 2500 anni fa. Se si confrontano questi numeri con quelli che caratterizzano la conoscenza intuitiva, appare subito evidente che le strutture cognitive che rendono possibile la conoscenza dimostrativa non possono essere un dono inconsapevole dell’evoluzione naturale che il vivente fa suo giocando; devono essere create con uno sforzo consapevole e volontario, guidato da un maestro. Dalla necessità di leggere e scrivere e di acquisire le conoscenze e le abilità tradizionali da cui estrarre conoscenze nuove nasce la scuola.

Preparata dal disprezzo empiristico del linguaggio e della tradizione e iniziata con la nostalgia primitivistica di Rousseau, la pedagogia moderna ignora il senso della conoscenza scientifica e concepisce come un lavoro inutile, o dannoso, lo sforzo per costruire le strutture cognitive del pensiero dimostrativo. Essa cerca di imporre alla scuola l’abbandono dell’alfabetizzazione e delle discipline. O almeno le impone di raggiungere le abilità cognitive in forma pratica e analfabeta: quello che c’è da imparare deve essere imparato nella maniera muta propria degli animali – questo è il principio supremo della pedagogia di Dewey, il senso ultimo della didattica per competenze, ma anche la spiegazione del loro fallimento: non si acquisisce la conoscenza discorsiva evitando il discorso, proprio come non si impara a nuotare senza gettarsi in acqua. Ma la pedagogia può fare ancora di peggio qualora decida che non c’è proprio nulla da imparare perché tutto è già in ogni bambino e si sviluppa ai suoi ritmi; questo grossolano fraintendimento della maieutica platonica riduce la scuola a un servizio assistenziale per l’adattamento dell’individuo alla società.

La pedagogia ignora il senso della conoscenza discorsiva perché nel suo intimo rifiuta il concetto stesso di verità. Essendo corrispondenza di soggetto e oggetto, la verità implica che si superi non solo l’isolamento casuale delle cose intuite, ma anche il dispotismo del soggetto. È la difficoltà di questo secondo superamento a fare della verità un compito quasi sempre disatteso nella storia umana. L’illusione dell’onnipotenza soggettiva, che si manifesta dapprima nella magia, assume forma filosofica nell’idealismo del dover-essere, in quanto privilegia l’ideale rispetto al reale. La forma politica dell’idealismo è l’ideologia rivoluzionaria, che distrugge il tradizionale per sostituirlo con il nuovo. La pedagogia moderna, che scaccia i presupposti della scienza dalla scuola, che rifiuta la tradizione scientifica in nome della marcia perenne verso il nuovo, è l’applicazione della mentalità rivoluzionaria al rapporto tra adulti e bambini. Il suo insinuarsi nella scuola vi provoca un ribaltamento dei valori: l’umiliazione della conoscenza dell’insegnante e l’esaltazione dell’ignoranza del bambino, la condanna delle discipline e la raccomandazione del dilettantismo, il rifiuto dell’esercitazione e la promozione del gioco, la fine della responsabilità e l’inizio dell’autostima, la rinuncia alla verità e la sollecitazione all’agire cieco.

La rovina della scuola occidentale non è l’effetto di un complotto delle classi dirigenti per tenere ignoranti e sottomesse le masse; al contrario: deriva dall’appoggio che la pedagogia primitivistica offre alla resistenza naturale contro le difficoltà dell’apprendimento teorico. L’istituzione della scuola pubblica può essere progetto per generalizzare la cultura e la scienza che per lungo tempo sono state scomodo privilegio delle élite, oppure può essere creazione di una scuola democratica con un suo facile attivismo dilettantesco, da cui è esclusa la feconda fatica della cultura e della scienza. Si tratta di scegliere tra l’annullamento del carattere privilegiato della conoscenza dimostrativa tramite la sua generalizzazione e l’annullamento della conoscenza dimostrativa stessa perché stigmatizzata come obiettivo tanto artificioso quanto superfluo. È lo spirito volgare di Rousseau e di Dewey che spinge le masse lungo questa seconda via. Ed esse la prendono volentieri perché sembra la più comoda.

note:

(1) David C. Geary, The Evolved Mind and Modern Education, Cambridge University Press, 2024

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