Le spiegazioni non siano giustificazioni
Sovente la psicologia si è fatta psicologismo, ovvero disconoscimento dei giovani in quanto soggetti morali
Il filosofo e teologo tedesco Bernhard Bueb (1937-vivente) si è occupato di temi pedagogici riconducendo il disastro educativo odierno al mancato superamento di gravi errori di mentalità. Tali errori sono quasi interamente riconducibili a due momenti storici cruciali per la storia della Germania (e d’Europa): la fase del nazionalsocialismo e la rivolta giovanile degli anni che hanno fatto seguito al 1968. Quest’ultima, secondo Bueb, appare tuttavia come l’onda lunga di una reazione estrema alla cultura pedagogica nazista.
Ci pare significativo sottolineare qui l’importanza che il filosofo attribuisce alla necessità di recuperare la dimensione morale propria di ogni individuo da educare, che altrimenti viene ridotto alla sua sola animalità. Nel suo testo, tradotto e pubblicato anche in Italia, non è difficile scorgere i segni di un moderato ottimismo, che deriva da alcuni cambiamenti in corso.
È un problema che va affrontato: negli ultimi decenni con la psicologia abbiamo voluto arginare le conseguenze della non-educazione. Il suo momento d’oro arrivò quando gli educatori ruppero l’equilibrio tra disciplina e amore a favore di quest’ultimo. La «psicologizzazione della pedagogia» venne percepita come un’umanizzazione dell’educazione. Scarso impegno, comportamenti aggressivi e disturbi di concentrazione vennero spiegati con i modelli psichici elaborati nelle diverse scuole di psicologia: quelle manifestazioni non dovevano più essere interpretate in un’ottica morale. Il bambino iperattivo veniva liquidato con una diagnosi di sindrome da deficit di attenzione, il rifiuto di lavorare divenne accettabile perché indicava un grande talento incompreso, la tendenza a canzonare gli altri venne spiegata con un Io debole e mancanza di amore nella prima infanzia.
È necessario che bambini e giovani siano presi in considerazione più seriamente come soggetti morali, evitando di giustificare il loro comportamento con spiegazioni psicologiche affrettate […]
Le cognizioni della psicologia possono semplificare il lavoro pedagogico e spesso lo hanno fatto. La psicologia ha messo a disposizione dei pedagogisti degli strumenti che li mettono nella condizione di comprendere il comportamento di bambini e adolescenti, di interpretare meglio le cause dei comportamenti sbagliati e di reagire con provvedimenti differenziati, anziché limitarsi alle sole punizioni. La psicologia ha avuto un effetto positivo finché è stata utilizzata da genitori, insegnanti ed educatori solo come un ausilio per interpretare il comportamento infantile. Si è trasformata invece in un problema dalle discutibili conseguenze laddove si è fatta istanza standardizzante, perché i pedagogisti nelle loro decisioni si lasciavano guidare dalle interpretazioni psicologiche e non dalle loro esperienze, dal loro intuito o dalle loro valutazioni come educatori. La diagnosi psicologica e la conseguente terapia soppiantavano l’esperienza della pratica pedagogica. Negli anni Novanta si discuteva ancora la possibilità di impiegare in tutte le scuole degli psicologi a cui affidare quegli allievi che non si riuscivano a raggiungere con i comuni interventi pedagogici. Per qualche tempo crebbe la fiducia nella forza terapeutica della psicologia, ma in quel modo si disconobbe del tutto la limitatezza del suo ruolo come scienza sussidiaria per la pratica pedagogica.Lentamente stiamo assistendo al ritorno a una pedagogia che rinforzi il senso morale del bambino e che non spieghi le sue debolezze per giustificarle […]
[Tratto da: Bernard Bueb, Elogio della disciplina, RCS, Milano, 2007, pp. 73-75]
Attualmente ci sono moltissime scuole psicologiche a volte in polemica furibonda tra loro. A una spiegazione psicologica se ne può opporre una opposta con lo stesso diritto. Per aiutarsi, lo psicologo ricorre in definitiva alle stesse risorse a cui ricorre il profano: esperienza e buon senso. Almeno nei casi migliori. Negli altri interviene l’ideologia. È opportuno che la scuola faccia leva sulla sua esperienza e sul suo buonsenso, e non scarichi altrove le sue responsabilità.