PDP = garanzia dell’insuccesso educativo
DSA significa: disturbo specifico dell’apprendimento. Studiando si viene a sapere che i disturbi specifici dell’apprendimento sono quattro e ben caratterizzati: dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Chiaro e semplice. Quando si passa alla pratica e si legge una diagnosi, purtroppo, le certezze vengono meno.
Ho visto genitori eroici fare di tutto per aiutare un figlio dislessico ed ottenere risultati eccezionali. Ho visto anche ragazzi con bisogni educativi speciali che, malgrado non comprendano le lezioni, vivono la scuola serenamente e umilmente come vitale luogo di socializzazione. Non è colpa loro se sono stati mandati avanti pur non avendo frequentato uno o più anni. Sono figli di genitori che hanno a loro volta perso la patria potestà proprio perché non mandavano i figli a scuola, oppure che la perderanno fra poco perché non seguono abbastanza i propri figli. Oppure sono ragazzi stranieri che arrivano in Italia senza documenti, senza famiglia, senza parlare la nostra lingua. Anche loro sono dei piccoli teneri eroi.
Ci sono anche i furbi che, con una visita a pagamento, ottengono una certificazione che semplifica il loro futuro scolastico, allontana il pericolo della bocciatura e li libera dal peso dello studio. Oggi non voglio parlare né dei genitori, né dei piccoli eroi, né dei furbi. Vorrei solo evidenziare alcuni paradossi della scuola italiana che vengono tranquillamente accettati come situazioni normali e regolari. L’argomento che li accomuna è il PDP: piano didattico personalizzato.
A scanso di equivoci: non rientra fra i paradossi il fatto che l’INVALSI preveda, per gli alunni con bisogni educativi speciali, BES, gli stessi test degli altri alunni. Nè io trovo paradossale che un ragazzo, sapendo già in partenza che non potrà essere bocciato, non studierà, non presterà attenzione alle lezioni e non imparerà nulla. Tanto è vero che, scherzando con i miei colleghi, in passato dicevo: “Un giorno scriverò un libro dal titolo: PDP = garanzia dell’insuccesso educativo.” Quello era il tempo in cui ancora mi illudevo che la distruzione della scuola fosse reversibile…
Il piano didattico personalizzato, come dice il nome, dovrebbe essere diverso da un alunno con bisogni speciali all’altro, anche se la scuola fornisce un modello da compilare che rende i PDP molto simili tra loro. Il coordinatore di classe appronta questo documento tra ottobre e novembre e lo fa firmare a tutti i docenti. Ammesso che i docenti lo leggano prima di firmarlo, come fanno a ricordarselo? Con una media di almeno un paio di PDP per classe, come fanno a non confondersi? Ci sono docenti con nove classi… in più esiste la tutela della privacy cui tutte le altre necessità devono obbligatoriamente inchinarsi. È vietato fare o conservare una propria copia del PDP. In pratica gli insegnanti dovrebbero prendere appunti, ma segretamente. Guai se tali appunti andassero smarriti: occorrerebbe segnalare subito la disgrazia al responsabile della privacy ed alla famiglia. Mi sento male solo a pensarci. Cosa fare, poi, se si subentra ad un docente precedente, con i PDP già redatti e attivi?
Occorre andare in segreteria studenti, nell’orario di apertura, fare la coda, chiedere di visionare il fascicolo e firmare un apposito registro delle richieste. Nel mio caso la segreteria si trova in un plesso diverso da quello in cui insegno. Vi sembra possibile che uno strumento di lavoro sia così poco a portata di mano? Non ci vado mai e faccio affidamento alla mia memoria, ben sapendo che mi potrei sbagliare. Ho l’impressione che qualche mio collega adotti una scorciatoia: adotta le stesse misure per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali. Sempre di piano personalizzato si tratta, solo che non lo è più sulla misura dell’alunno, ma sulla misura dell’insegnante.
Va da sé che a fine anno tutti gli obiettivi saranno trionfalmente raggiunti, eppure l’anno successivo si ripartirà con un PDP molto simile, a volte identico. Ma che ve lo dico a fare?
DSA significa: disturbo specifico dell’apprendimento. Studiando si viene a sapere che i disturbi specifici dell’apprendimento sono quattro e ben caratterizzati: dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Chiaro e semplice. Quando si passa alla pratica e si legge una diagnosi, purtroppo, le certezze vengono meno. Il 90% sono casi di comorbilità. È possibile assistere a dialoghi assurdi. Ad esempio: docente X: “Non comprendo la diagnosi, mi sai spiegare da cosa è affetto questo alunno con DSA? Non mi sembra dislessico, perché riesce a leggere meglio di altri che non hanno certificazioni di sorta”. Coordinatrice: “La diagnosi dice e non dice, lascia intendere che si tratta di un disturbo aspecifico“. Docente X: “Allora non possiamo parlare di DSA, ma di DAA. Si può scrivere così? Disturbo aspecifico dell’apprendimento?”.
A proposito di diagnosi: come mai le diagnosi di dislessia sono decuplicate negli ultimi anni? Trattasi di paradosso o trattasi di un’altra cosa che non posso dire per non venire querelata?
Un altro classico paradosso è quello del delirio di onnipotenza. Legislatore e dirigente danno per scontato che qualsiasi docente, in quanto tale, troverà da solo, sempre e celermente, la soluzione di qualsiasi sfida educativa. Lo esigono e non si discute! Il paradosso è duplice: in primis perché quello dell’insegnante è uno dei lavori peggio pagati del mondo, cioè egli deve fare il superman per 29 giorni al mese, che lo voglia o meno, e diventa un miserabile il giorno della paga. In secundis vediamo il mondo che progredisce, il tempo libero che aumenta per tutti, i lavori pesanti che spariscono… ma per i soli insegnanti deve valere il contrario: devono lavorare sempre di più, in condizioni sempre peggiori e vengono chiamati a risolvere casi sempre più difficili. Quale atavica colpa devono espiare?