Ricordi dall’Antiscuola. Autobiografia di un Prof.

Un libro ironico ma aggraziato sulla scuola italiana, nella quale abbiamo sempre più bisogno di antidoti, terapie e catarsi

Per parlarvi del nuovo libro sulla scuola (il terzo) di Paolo Mazzocchini, comincerò dalle maniglie; meglio, dall’uso moderno delle maniglie affermatosi nei fabbricati scolastici italiani. Il dettaglio non poteva sfuggirmi: sono un esperto del ramo. Nessun simbolismo; qui si parla di maniglie fisiche; quelle per aprire. Il prof. Mazzocchini è in classe, momento speciale, ultimo giorno di scuola, ultimo per davvero, si va in pensione, addio alle armi. Sta – con un certo qual indefinibile turbamento – facendo lezione, tentando, cioè, per l’ennesima e ultima volta la magia nera del trasportare gli smartphonati nell’Iperuranio, quando, senza antefatto acustico alcuno, ecco materializzarsi Lei, la bidella, con in mano il mattinale, i consigli per gli acquisti: Vuole per caso, qualcuno dei virgulti, aderire al progetto Studente-Atleta modello? (“Tutto svanì di colpo, compresa la mia presunta nostalgia per il mestiere che stavo, di lì a qualche minuto, per lasciare per sempre. Ecco: può sembrare che esageri, ma in un episodio del genere, così apparentemente banale, è compreso tutto il senso del mio odi et amo verso la scuola”; p.129). L’ho detto: sono uno specialista in materia; l’ho visto fare le mille volte; parlo delle maniglie disinvoltamente abbassate; l’ho visto fare da tutti: bidelli, vice-presidi, colleghi, raramente alunni; non l’ho mai digerito. I primi a stupirsi, poi, erano proprio loro, gli utenti. Ho reagito subito, a muso duro; ho rimandato a dopo il chiarimento (esternando però l’intenzione di farlo); ho elaborato strategie ironiche per castigare a caldo, senza sbottare. Mi sono logorato il fegato. Non l’ho mai accettato. Villania a parte, il danno è doppio: tensione comunicativa rotta e pressoché irrecuperabile (Interrompere una lezione significa disperdere la concentrazione e spezzare la tensione. Violentare un’emozione. Solo un insegnante vero sa quanto è delicato questo equilibrio psicologico e ambientale”; p.129); tempo buttato: ho visto entrarmi in aula – magari rispettosamente – bidelli/e recanti in dono nientedimeno che 8 pagine fitte fitte più modulistica, concernenti questo o quel progetto. Demenzialità pura.

Tempo buttato, appunto; centralissima questione; e le maniglie abbassate sono solo piccola parte di più vasto apparato. Difficile, per chi non c’è stato dentro, capire quale paurosa erosione di tempo produca, a spese della didattica, ciò che Mazzocchini chiama l’“Antiscuola” (“un mostro dalle cento teste…un pullulare inarrestabile di infiorescenze parassite”, p. 77). Nell’emporio non manca nulla: gite, concerti, cinema, giornate promozionali, conferenze, visite guidate, open day, “olimpiadi”, orientamenti “in uscita”, assemblee, alternanze, progetti.

Quando il nostro Professore vi entra, nei primi anni ’80, la Scuola, nell’insieme, mostra ancora di reggere (“per tutti gli anni Ottanta fino ai primi anni Novanta…vissi il periodo tutto sommato più felice della mia carriera. La scuola non era più quella sopravvissuta sino al ’68… ma nemmeno ancora quel giardino d’infanzia iper-protetto che sarebbe di lì a poco diventata”, p. 29). Il primo smottamento nel 1995, con l’abolizione degli esami di riparazione; da quel momento la macchina della perversione comincia a lavorare sodo e a trasformargli la vita in resistenza. Mazzocchini si racconta senza veli: la famiglia operaia, gli studi in provincia, l’incrocio fatale, al ginnasio, con un fuoriclasse della didattica; il tentativo di carriera universitaria (lettere classiche), l’amara disillusione, il fallimento senza demerito; quindi l’ingresso in un Liceo; il suo Liceo (amato ed odiato); e il progressivo confrontarsi con l’Antiscuola.

La “bestia malefica” lavora su più fronti: rapina tempo; sfianca a mezzo extra cartaceo-burocratici; impone modernismi modaioli. Fra gli altri, quello della interdisciplinarità prêt-à-porter, che celebra i suoi fasti con le cosiddette tesine d’esame. Immancabile, arriva vissuto e bozzetto: un anno imprecisato, a circa due terzi della carriera, il nostro memorialista si trova commissario esterno presso il liceo di una cittadina della sua regione. Siamo entrati nell’epoca delle Commissioni miste: 3 interni, 3 esterni più presidente esterno. Scatta la consueta operazione euristico-imbonitoria (troppe ne vedemmo): comfort, paraculismus and investigations; fioccano rifocillamenti (bibite, pizzette e pasticcini), sorrisi, cortesie, buonumore (untuosetto) e spirito collaborativo; il tutto interrotto da qualche lampo di sospettosità congiunto a domandina esplorativa (i primi giorni – prima delle magagne – è sempre così). Tranne il nostro trasfertista, tutti i Commissari sono donne. Tra le interne spiccano per attitudine alla maternità-chioccia, la superingioiellata di Latino e la boccolata di Inglese (“una matrona imponente sulla sessantina, capigliatura bionda a boccoli grandi e occhiali dorati con montatura vistosa e raffinata”); quest’ultima, in particolare, appare la più impegnata a magnificare le qualità dei candidati; nonché la più intrigante. Il commissario abbozza e inizia ad avere sentore di guasto. Cosa che trova conferma nella correzione delle prove di latino, dove la maggioranza ha preso la cantonata (“tre quarti della classe toppò…la versione di Seneca…Una disfatta. La bolla era scoppiata. Il settanta per cento di quelle prove non raggiungeva la sufficienza”, p. 110). Si sparge il panico. Si corre ai ripari. Mentre calano bibite e pizzette, salgono sino all’inverosimile, e quasi per tutti, i voti nelle terze prove di inglese. Il clima si fa più freddo (un classico). Si arriva alla vigilia degli orali: il flusso di bibite e pizzette ritorna normale; e compare anche una fagottata colorata: sono le tesine, tutte allestite secondo l’aureo canone della interdisciplinarità (“fascicoletti multicolori rilegati per lo più con grossi anelli, e con copertine vistose dai titoli sgargianti: Amore e morte, Astrologia e astronomia, Rivoluzione e rivoluzioni”, p. 113.). Ogni docente pesca qualcosa dal mucchio: il prof di latino nota un titolo che allude a un presunto mistero della sepoltura di un noto personaggio storico: è tutta in inglese, tranne una breve sintesi iniziale; la prende, la legge; impeccabile; troppo; bastano un paio di frasi su Google ed ecco l’originale: è un lavoro pubblicato in un sito accademico di saggistica internazionale. Il Commissario stampa il pdf, mette in borsa e studiatamente rinvia. Iniziano gli orali e viene il turno dell’autrice di The Quest, che la docente di inglese non si è peritata di definire “studentessa originalissima e culturalmente curiosa come poche altre maturande”; tradotto: naturalmente predestinata al 100. Gli orali riescono scolasticamente dignitosi, ma della annunciata originalità, nessuna traccia. Si passa alla valutazione: il destino della candidata (per inciso, figlia di una docente della scuola e di noto esponente politico locale) pare stia per compiersi, quando il guastafeste mette mano alla borsa e ne cava lo stampato. Gelo in sala: la boccolata sbianca, gli altri ammutoliscono, la Presidente riconosce che, di fronte all’evidenza del plagio, assegnare il massimo è impossibile; si conviene per un voto più basso. L’originalissima rimarrà sotto il 100.

Frodi a parte, qui come altrove (p. 54), l’autore ci esterna tutto il suo cordiale disgusto per tesine e verbo della Interdisciplinarità. Cosa che potrebbe farlo apparire seguace di un chiuso disciplinarismo. Non credo sia così. Ci sono almeno tre punti di questo sugoso libretto che “dicono” il contrario; e tre parole-chiave: “contagio” (p. 22), “avventure” (p. 23), “detective” (p. 24). Qualunque disciplina, anche quelle scientifiche – soprattutto se chi le insegna ne conosce la storia – può far scoccare un contagio avventuroso, consistente proprio nello scoprirne la complessità, cioè tutti gli infiniti, potenziali intrecci con tutte le altre. C’è una interdisciplinarità prêt-à-porter; e una lenta e profonda (“un insegnante che abbia la stoffa del ricercatore ti trasmette inevitabilmente il prezioso strumento del metodo a prescindere e al di là della materia che insegna”, p. 24). È qui la scuola vera: un adulto/detective meravigliato del mondo, che comunichi meraviglia per il mondo; un contatto che può salvare dalla volgarità di una vita senza mistero (che è la migliore anticamera della sordità morale).

Altri felici schizzi nelle pagine di questi Ricordi dall’Antiscuola: dal Dirigente commercialista che definisce i docenti “mediatori promozionali” (p. 91), ai docenti psico-socio, maledettamente impegnati a piacere sul piano umano (p. 30); al vacuo rimbombo di sigle e formule, che paiono comandi discendenti da un’invisibile Entità totalitaria (p. 73). Un libro antidoto-terapia-catarsi, leggero e denso, dove la più acida delle stroncature si stempera sempre nella grazia dell’ironia; lettura consigliata ad euforici principianti come a veterani sull’orlo di una crisi di nervi. Sconsigliatissimo agli incalliti adepti del buonoperchénuovo.



Paolo Mazzocchini, The Dark Side of the School,
Nulla Die, 2022, p.155, euro 15.

3 Commenti

  1. Un libro antidoto-terapia-catarsi, ma attenzione a prenderlo sul serio, si finisce in una situazione molto difficile, una lotta impari. L’antiscuola è reale, molto potente. “Lasciate ogni speranza a voi ch’intrate”.

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