Collegamenti

Per fare collegamenti bisogna conoscere ciò che si vuole collegare

Ci sono parecchi modi in cui possiamo definire l’intelligenza umana, anche a seconda del contesto in cui ne parliamo. Se ci atteniamo all’etimologia (“intelligenza”, da intus-legere = leggere dentro) non possiamo evitare di pensare alla capacità di penetrazione nelle cose della realtà, e delle loro leggi, ricavandone un’immagine oggettiva. Nel pensiero intelligente le cose (e le parole) si rapportano tra loro in modo corretto, definendosi reciprocamente; tanto più i loro rapporti si articolano, quanto più la penetrazione della realtà sarà profonda. Nel pensiero intelligente la realtà trova le sue spiegazioni. Il pensiero intelligente coglie la necessità di quelle spiegazioni e quindi è anche in grado di fare previsioni.

Ora, è evidente a tutti che una persona intelligente riesce a cogliere un grande numero di relazioni tra le cose, cioè sa collegare tra loro le parole in modo da creare una rete di significati pertinente, che merita attenzione e riflessione, e che può essere una guida anche per la dimensione pratica.

La scuola si occupa della conoscenza esplicativa delle discipline di studio e dunque ambisce a sviluppare prima di tutto un’intelligenza di tipo teorico, che getti luce pure sui principi che devono guidare l’azione individuale. La scuola, proprio come la vita, non può però indurre l’intelligenza di per sé, in modo diretto. Infatti la capacità di fare collegamenti comprende due momenti distinti:

(1) la conoscenza del significato delle cose e delle parole della realtà, che viene di-spiegata dagli insegnanti e messa a disposizione degli allievi che vogliano farla propria;

(2) l’effettiva creazione di collegamenti originali tra le parole (tra i concetti), che è il risultato – creativo e per certi versi insondabile – dell’atto di pensiero di ciascuno. I collegamenti tra le parole non sono esterni e casuali, ma si fondano nelle parole stesse, dando origine ai giudizi.

Il primo momento rimanda alla scuola, alla relazione con un maestro; mentre sul secondo la scuola e gli insegnanti non hanno alcun potere (è il momento che Agostino risolveva chiamando in causa la Grazia). Esso dipende per intero da quello che accade all’interno dell’allievo.

Dunque? Dunque dobbiamo rassegnarci. Il meglio che la scuola possa fare è insegnare tante parole e tante cose mostrando la ricchezza di riferimenti che esse contengono, così da stimolare l’allievo a un’ulteriore riflessione su ulteriori possibili riferimenti: parlo delle famigerate nozioni. Senza le nozioni non c’è nulla da collegare.

Credo significhi molto. Moltissimo.

P. S. Coloro che, a partire da quanto ho scritto, si accaniscono contro lo studio mnemonico favoleggiando di un totale attivismo generativo da parte dell’allievo non hanno forse compreso che la creatività poggia sempre sulla padronanza oggettiva di conoscenze elementari (si pensi alle tabelline, o all’alfabeto) che non possono prescindere dalla memoria dei termini da utilizzare, e che il significato di quei termini non dipende da un atto creativo.

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