Gli studenti preferiscono la lezione frontale
Siamo davvero così sicuri che gli studenti apprezzino le “nuove” metodologie didattiche? Secondo la testimonianza del prof. Mathias Tistelgren, insegnante di filosofia e inglese in una scuola superiore di Göteborg (Svezia), le cose non stanno affatto così, anzi, stanno esattamente al contrario: gli studenti apprezzano molto le lezioni frontali, le regole chiare e lo studio tradizionale che comprende esercizi e voti.
Si sente parlare spesso di metodologie didattiche innovative per l’insegnamento e per l’apprendimento, connesse con l’utilizzo delle nuove tecnologie. Didattiche alternative, più coinvolgenti e più capaci di tenere viva l’attenzione degli studenti che altrimenti sarebbero inesorabilmente condannati alla noia più tremenda e all’inevitabile dispersione scolastica. Didattiche che si avvalgono di strumenti tecnologici all’avanguardia in grado di trasformare gli studenti da spettatori passivi di inutili e barbosi “spiegoni” prodotti da gente autoritaria, narcisista e sadica, a protagonisti attivi in grado di apprendere con piacere e divertimento, senza bisogno di particolari regole e disciplina. Ma siamo davvero così sicuri che gli studenti apprezzino queste “nuove” metodologie didattiche? Secondo la testimonianza del prof. Mathias Tistelgren, insegnante di filosofia e inglese in una scuola superiore di Göteborg (Svezia), le cose non stanno affatto così, anzi, stanno esattamente al contrario: gli studenti apprezzano molto le lezioni frontali, le regole chiare e lo studio tradizionale che comprende esercizi e voti.
A quanto pare molti pedagogisti, a cui manca una diretta esperienza sul campo, si costruiscono un’immagine degli studenti che ha ben poco a che fare con l’effettiva realtà contribuendo, in questo modo, alla formazione di falsi miti che diventano parte di una ideologia condivisa da più insegnanti per varie ragioni, tra cui, non ultima, l’incapacità di fare buone lezioni frontali e di trasmettere conoscenze.
Il prof. Tistelgren, dunque, ci fa riflettere sull’evidente discrepanza che sussiste tra alcune teorie pedagogiche e alcune mode didattiche e quella realtà, sempre più bistrattata, chiamata “scuola”.