Feste di fuffa

Non fa male proporre qualche esempio, tra le migliaia, di testi del tutto vuoti di senso (o quasi) che spesso coronano il lavoro dei pedagogisti. La presunzione che mandare dalla propria torre d’avorio messaggi oscuri, criptici, rechi alla disciplina lustro e spessore culturale va sempre messa a confronto con i risultati che tale mentalità ha prodotto nella scuola italiana (e non solo).

Poiché il puerocentrismo e l’attivismo sono gli obiettivi ultimi della pedagogia contemporanea, ma essi possono essere concettualizzati (e smascherati) con poche parole, molti pedagogisti hanno il problema (a volte inconsapevole) di dover puntellare quella pochezza concettuale con fiumi di parole che abbiano un’apparenza informativa. Dunque, ci sono molti modi per presentare al lettore di un testo di pedagogia una fuffa di qualità. Uno dei più in voga è quello che prevede l’individuazione di grandi domande cosmiche, vaghe, cui si procede a rispondere in modo altrettanto ermetico, indefinito e fumoso.
Eccone un fulgido esempio, che sarebbe meglio non imitare:

Occorre ritrovare un punto di forza su cui far leva per liberare le regioni dell’educazione dalla pesante nube di incertezze e di equivoci che la rende così spesso sterile o impotente di fronte alle molte e improrogabili istanze della civiltà postmoderna.
Ci sembra giunto allora il momento di impegnare il guadagno che la riconversione in prospettiva pedagogica delle analisi multi-interdisciplinari sulla postmodernità ci ha consentito di ottenere con l’individuazione delle categorie antropologico-pedagogiche dell’identità e dell’educabilità, per verificare quali siano le condizioni che l’attuale contesto socio-culturale impone per una loro efficace traduzione ai fini di un riposizionamento/inveramento del compito pedagogico nel quadro della postmodernità.
[…]

  • tratto da Postmodernità e problematiche pedagogiche, vol. II – a cura di Gino Dalle Fratte, Armando Editore, Roma, 2004, p. 123

Un commento

  1. Indi, a udire e a veder giocondo,
    giunse lo spirto al suo principio cose,
    ch’io non lo ‘ntesi, sì parlò profondo;

    né per elezion mi si nascose,
    ma per necessità, ché ‘l suo concetto
    al segno d’i mortal si soprapuose.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *