La rinuncia pedagogica ai modi della conoscenza discorsiva e le sue conseguenze sugli alunni e sugli insegnanti

La scuola deve superare gli equivoci pedagogici e assumersi il compito di trasmettere efficacemente le discipline teoriche.


A Giovanni Belardelli.

Si attribuisce volentieri a Gentile una convinzione che i pedagogisti respingono con sdegnoso disprezzo: che per insegnare bene sia sufficiente conoscere la disciplina. Per quanto Gentile possa averla fatta sua, la convinzione ha però radici molto più antiche e profonde. In Metafisica 981b 7-10, Aristotele scrive: «In generale il segno che distingue chi conosce da chi non conosce è la capacità di insegnare, e siamo dell’avviso che la tecnica sia più scienza dell’empiria perché i tecnici sono capaci di insegnare, gli empirici non ne sono capaci». «Chi conosce» traduce il participio «εἰδώς» che ha la stessa radice di «εἶδος», cioè dell’idea platonica e della forma aristotelica. La conoscenza che secondo Aristotele abilita immediatamente all’insegnamento è dunque quella universale. Cosa significa «conoscenza universale»? La conoscenza non soltanto delle cose singole, ma soprattutto delle leggi che rivelano le loro cause.

Mentre le cose possono essere espresse attraverso le immagini, le leggi delle cose possono essere espresse soltanto dai discorsi. Per questo la filosofia (ma anche l’etologia e la psicologia evolutiva attuali) distingue da sempre la conoscenza intuitiva, che si accontenta di constatare le cose singole, dalla conoscenza discorsiva, rivolta alle loro cause, alle loro leggi. Quella risulta certamente da processi di sublime raffinatezza, ma essi sono ereditati geneticamente, dunque sono inconsapevoli e si apprendono attraverso la facile spontaneità del gioco e dell’imitazione. La conoscenza discorsiva è invece fatta anzitutto di parole, poi di nessi di parole, cioè di proposizioni, e infine di nessi di proposizioni, cioè di sillogismi. Per esprimere le cause e le leggi delle cose, cioè per avere scienza, la competenza discorsiva è ineludibile. Avere conoscenza scientifica significa avere un discorso argomentato (“λόγος”); avere conoscenza chiara significa avere un discorso chiaro; avere una conoscenza solida significa essere capaci di discussione critica del discorso che la contiene. Per questo legame della scienza con la discorsività, gli antichi (Platone non meno di Aristotele) identificarono conoscere e insegnare.

La pedagogia moderna nasce con un gesto di rifiuto della conoscenza discorsiva. L’educazione di Emilio è sensoriale e motoria fino a 14 anni – fino all’adolescenza Rousseau relega il bambino nella conoscenza intuitiva. Il sogno della pedagogia attiva, nelle sue forme più estreme, quelle che simpatizzano con il postmodernismo e sostengono la descolarizzazione (Illich) o la scuola analfabeta (Maragliano), è l’annientamento della conoscenza discorsiva e il trionfo di quella intuitiva; la sua forma meno estrema ma più diffusa (Rousseau, Dewey) consiste nel rinunciare ai modi dell’apprendimento discorsivo per attenersi esclusivamente ai modi dell’apprendimento intuitivo: poiché apprendiamo a intuire, a muoverci e persino a parlare con il gioco e l’esperienza sensibile, il sogno della pedagogia attiva è fare del gioco e dell’esperienza sensibile il metodo per acquisire non soltanto abilità pratica, ma la scienza stessa. In questo modo si risparmierebbe al bambino la difficoltà di scrivere e di studiare i libri, l’apprendimento sarebbe facile e piacevole e gli si riconoscerebbe il diritto a restare nel suo piccolo mondo, secondo gli imperativi del puerocentrismo.

Si tratta di un disegno impossibile, perché, mentre la conoscenza discorsiva presuppone e dunque contiene esplicitamente in sé quella intuitiva (quando spieghiamo le leggi universali ci serviamo di esempi e di esperimenti), non vale il contrario, vale a dire la conoscenza intuitiva contiene solo implicitamente la conoscenza discorsiva e solo chi già possiede questa, avendola acquisita nelle modalità che le sono proprie, sa scorgere l’universale in quella. Così Aristotele distingue il tecnico dall’empirico perché, mentre la conoscenza dell’universale consente al tecnico di agire con intelligenza nel particolare, l’empirico agisce nel particolare a tentoni.

La pedagogia moderna impone agli insegnanti di suscitare negli alunni la conoscenza discorsiva rinunciando alla trasmissione linguistica delle discipline, secondo modalità intuitive e ludiche. Ma così il loro lavoro diventa uno sforzo infinito e infecondo: per un verso essi sono ridotti ad animatori della spontaneità degli alunni, per altro verso ci si aspetta invano che dai progetti affidati al protagonismo degli alunni, dal loro learning by doing, emergano studenti in grado di padroneggiare la tecnica attuale e le sue evoluzioni future. Così, mentre per gli alunni frequentare la scuola che rinuncia a guidarli diventa sempre più inutile, fare l’insegnante diventa faticoso e frustrante. Le statistiche rilevano non solo una profonda decadenza degli apprendimenti, ma un corrispondente degrado della condizione degli insegnanti: una metà di essi è in burn out, un 40% ha pensato seriamente di cambiare mestiere e i presidi sono non meno stanchi. Negli Stati Uniti, dove il puerocentrismo ha reso le classi ingestibili e il 40% degli insegnanti subisce aggressioni fisiche, ci sono difficoltà di reclutamento.

La rinuncia a insegnare la conoscenza discorsiva con le modalità che le sono proprie è la fine della scuola. Viceversa, la scuola rinasce se la conoscenza disciplinare, anziché essere considerata secondaria o superflua, torna a esserne il centro. È necessario dunque che gli insegnanti amino la loro disciplina e non si stanchino di coltivarla. Anche negli ordini inferiori di scuola, non soltanto il continuo approfondimento della grammatica, della matematica, della storia, della geografia, delle scienze non può che rendere più efficace e interessante la didattica, ma soprattutto può rovesciare l’attuale triste tendenza alla mancanza di curiosità nei giovani e sostituirla con un rinnovato spirito di esplorazione. Il maestro non è soltanto fonte della conoscenza e delle abilità, è fonte soprattutto del desiderio della conoscenza e delle abilità, di ciò che si chiama il lifelong learning, che coincide con l’atteggiamento filosofico e che invano si cerca di raggiungere per via pragmatica. Solo un insegnante che continua a studiare le discipline può ispirare desiderio di studio negli alunni. Negli ordini superiori di scuola, dalle medie in poi, il consolidamento disciplinare deve investire tutta la carriera dell’insegnante, per il motivo evidente che le materie sono difficili, che insegnare il calcolo differenziale e integrale, Aristotele e Hegel, le implicazioni economiche e giuridiche della storia, le sottigliezze della fisica ecc. implica un lavoro di approfondimento continuo. Senza questo lavoro l’insegnamento si riduce a discorsi vaghi, addirittura sciocchi, spesso incomprensibili, che non consentono il lavoro di approfondimento critico interattivo su cui si basa l’istruzione efficace.

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