L’Antiscuola e il declino della lettura
Un prof di lettere sprofondato sulla poltrona del proprio salotto e immerso nella lettura di un classico giova molto di più ai suoi studenti del prof ‘currens’, di quello, cioè, che si affanna per organizzare progetti transdisciplinari o stage promozionali. Sto bestemmiando?
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Insegnare e incentivare a leggere libri: eccoci a un altro punto dolente della scuola superiore di oggi. Dell’eclissi della lettura tra i giovani ho già scritto (in The dark side of the school) così come della crisi e della agonia di molte biblioteche scolastiche (su cui cfr. almeno un ormai vecchio, ma sempre attuale e lucido articolo di denuncia, passato per altro piuttosto inosservato, di Famiglia Cristiana: https://www.famigliacristiana.it/articolo/scuola-biblioteche-in-grave-crisi.aspx).
Che i ragazzi di adesso leggano poco mi pare assodato. Ma temo, anche se non possiedo statistiche precise in proposito, che anche gli insegnanti leggano adesso meno che in passato. Che alcune scuole attivino ultimamente dei ‘progetti’ di incentivazione alla lettura mi sembra buona cosa in sé, ma poco rassicurante, perché conferma di fatto due sconsolanti realtà: la prima – ovvia ma non esaltante – è che, se i ragazzi di un liceo devono essere incentivati a leggere con apposite iniziative extracurricolari (dove per altro la qualità e l’utilità dei testi che si propongono in lettura e degli autori che si invitano a presentarli è talora piuttosto discutibile) ciò significa che non lo fanno, in genere, per loro interesse, spontaneo o indotto che sia; la seconda, ancora più deprimente, è che, se non lo fanno quasi mai, questo succede anche perché i loro insegnanti non li inducono abbastanza a farlo, cioè non li motivano né li indirizzano come si deve alle buone letture. E se non li inducono a farlo allora è probabile che pure loro, gli insegnanti, non abbiano più molta familiarità con (e passione per) i libri. Che non li frequentino, cioè, abbastanza o molto di più dei manuali che usano in classe.
Da docente-bibliotecario mi è successo non proprio di rado che degli studenti venissero a chiedermi libri in prestito, ma senza sapere bene quali, così, con indicazioni vaghe: ‘qualcosa’ – putacaso – di narrativa italiana sulla Resistenza… poi spesso dovevo essere io a fornire titoli e libri precisi per quella generica ‘ricerca’: Fenoglio, Calvino, Pavese ecc. Una scena comune a chissà quante altre biblioteche scolastiche d’Italia. Comune ma un po’ paradossale, a pensarci bene. Un insegnante di italiano o di storia che non indica a uno studente buone e precise letture sopra un argomento importante della sua materia e delega al bibliotecario, che magari insegna un’altra disciplina, l’onere della scelta specifica è come un medico specialista che, formulata una diagnosi, delega al farmacista l’onere di prescrivere una medicina piuttosto che un’altra. Tutto ciò significa però, risalendo a monte di questa abitudine di alcuni prof, che costoro forse non conoscono quei libri. Se un insegnante di storia o di letteratura non sa dell’esistenza o quantomeno dell’importanza dei Ventitré giorni della città di Alba o de Il sentiero dei nidi di ragno nella nostra letteratura resistenziale, ciò vuol dire che non li ha mai letti oppure che li conosce poco e male.
Beninteso: ci sono tra gli insegnanti – parlo qui delle materie umanistiche in particolare – molti lettori ‘forti’ e ‘fortissimi’. Temo però che non siano la maggioranza. Che parecchi tra i prof leggano poco o non abbastanza lo confermerebbe peraltro l’utilizzo che essi fanno della carta del docente: risulta da varie indagini, infatti, che di 500 euro annuali che ricevono per acquisti ‘culturali’ i prof spendano per i libri (cartacei o ebook) solo una minuscola percentuale. Il grosso viene speso per tablet e notebook; il resto per musei, mostre e teatro; gli spiccioli soltanto per i libri.
Ed è tutto da dimostrare che quella minima percentuale di testi venga acquistata da un insegnante per arricchire la propria cultura e la propria formazione. Più frequente il caso che si tratti di libri scolastici per un figlio o per un nipote. Può darsi anche che con la Carta del Docente si comprino (dico tanto per dire, perché niente lo vieta) libri di cucina o manuali di bricolage…
Tant’è: si sta perdendo a vari livelli già dentro la scuola non solo l’abitudine alla lettura assidua ma – ciò che è peggio – il senso stesso dell’importanza che la lettura – lenta, concentrata e meditata – riveste nella formazione in itinere e nell’arricchimento (o ‘aggiornamento’) culturale di un insegnante. Questa è la perdita più grave perché insostituibile. Colpa del web? Colpa dell’informazione pervasiva e incontrollata dei nuovi media? O, come diceva un vecchio e memorabile spot, colpa più in generale del ritmo e del conseguente logorio della vita moderna?
Colpa di tutto questo, certamente, ma non solo. Colpa anche e soprattutto – per ciò che almeno riguarda gli insegnanti – di un sistema-scuola che letteralmente impedisce loro, ormai, di dedicarsi alla lettura. Colpa soprattutto insomma – ricadiamo sempre lì… – dell’Antiscuola. Perché all’Antiscuola che tu, prof (putacaso di lettere al liceo), legga, e studi, e affini la tua sensibilità estetica ed alleni la tua competenza interpretativa e approfondisca le tue conoscenze e allarghi i tuoi orizzonti culturali disciplinari e interdisciplinari, ebbene di tutto questo – che a rigor di logica costituirebbe il cardine del nostro mestiere – all’Antiscuola non interessa un bell’accidente di nulla!!
L’Antiscuola esige infatti, paladina com’è di una visione che mescola insieme mercantilismo, burocrazia e pedagogismo d’accatto, che tu partecipi a una miriade di riunioni, che tu riempia una miriade di verbali e di schede, che tu ti impegni in una miriade di incarichi simil-dirigenziali, promozionali, assistenziali, integrativi ecc ecc. D’altronde «che tu legga e studi per conto tuo – ammonisce l’Antiscuola – che risultato concreto e quantificabile mi produce? Quale ricaduta dimostrabile sulla visibilità e sull’immagine del tuo istituto? Quale incremento delle iscrizioni? E poi chi mi assicura che – togliendoti un po’ delle mie sacrosante incombenze – tu poi ti dedichi davvero a questa tua beneamata lettura? Il diritto che reclami ad avere il tempo per leggere è in realtà la pretesa di conservare un privilegio che non mi riguarda, di godere di un lusso che non mi giova».
Come ben si vede, sul piano della Realpolitik l’Antiscuola sembra avere ragioni da vendere, dal suo punto di vista. Sembra, ma non è così. Almeno non per una scuola liceale. Parto da un semplice aneddoto.
È capitato qualche volta, a me e a qualche altro insegnante, di tenere lezioni- conferenza extra per ragazzi e colleghi. Una forma di ‘aggiornamento’ interno che oggi gli istituti tendono inevitabilmente a scegliere anche perché non hanno più soldi da spendere (o non vogliono spenderci quei pochi che hanno) per chiamare esperti e docenti universitari (al massimo, nel settore umanistico, ci si può rivolgere, allo scopo, a qualche autore di testi scolastici o a qualche scrittore meno famoso, disponibili gratis in cambio della promozione dei propri libri… o tempora!). Una volta un ragazzo dell’ultimo anno mi chiese, con una ingenuità di quelle che però scoprono – come si usa dire – la verità dell’acqua calda che tutti nascondono: «Ma come ha fatto lei ad approfondire e proporci questi argomenti così importanti e così particolari che non si trovano sui manuali e che di solito non si fanno in classe?» Risposi d’istinto: «Leggendo». Avrei dovuto forse aggiungere: studiando, approfondendo e magari ogni tanto scrivendo, pubblicando qualcosa su qualche rivista o sul web. Ma leggere era ed è la parola chiave che rivela il finto mistero. Temo che questa semplice verità (che dovrebbe essere una esigenza per tutti gli ordini di scuola ed un principio primario in una scuola liceale) sia ormai del tutto ignorata, rimossa e calpestata dall’Antiscuola. Quest’ultima pretende infatti prioritariamente dai suoi prof, come si è visto, tutt’altro genere di impegni e di capacità, e ciò a dispetto del fatto che dai media e dalle alte sfere accademiche e ministeriali continui a piovere quotidianamente addosso ai prof l’accusa (alquanto schizofrenica, evidentemente) di non essere preparati, colti, appassionati ed aggiornati abbastanza per motivare e trascinare i loro studenti…
Ma per raggiungere questa mèta quale altra strada maestra si dovrebbe percorrere se non – appunto – dedicare una buona parte del proprio tempo a leggere, a studiare, ad approfondire? Oso affermare che un prof di lettere sprofondato sulla poltrona del proprio salotto e immerso nella lettura di un classico giova molto di più ai suoi studenti del prof ‘currens’, di quello, cioè, che si affanna per organizzare progetti transdisciplinari o stage promozionali. Sto bestemmiando?
[Questo articolo è un estratto, con minimi adattamenti, da una delle ampie appendici che aggiorneranno una nuova, prossima edizione riveduta di The dark side of the school – autobiografia (a)tipica di un prof.]
Paolo Mazzocchini è curatore del blog SATURALANX – ScritturaMista.