Aggressività come perversa forma di autodifesa

La disciplina e il rispetto non si impongono con la furia, che invece risponde spesso a un bisogno nascosto di chi sta in cattedra.


Ecco la decima memoria dal sottoscuola: questa volta sono parole mordaci e pungenti nei confronti di quegli insegnanti la cui cifra didattica tende ad assumere la forma di una costante aggressività. A naso questa riflessione critica potrebbe essere stata scritta da un acuto studente, o da un insegnante controcorrente oppure ancora da uno psicologo. Non ci è dato saperlo dato che, tanto per cambiare, queste parole non sono state sottoscritte da alcuna firma. D’altronde firmare un proprio scritto equivale a metterci la faccia e ad assumersi la responsabilità del suo contenuto: ma è proprio quando non ci si sente di dover rispondere di quello che si dice che ci si permette di dire l’indicibile; è proprio quando si cela il proprio volto che ciò che di solito si tende a nascondere emerge come lava di un vulcano eruttante; un vulcano eruttante che, non avendo alcuna faccia, si può permettere il lusso di non guardare in faccia nessuno. Ed ecco, allora, l’eruzione di un qualcuno che, almeno in questo caso, ha preferito essere un libero nessuno:

Mi sembra plausibile che non di rado l’arroganza e l’aggressività vengano utilizzate dagli insegnanti più incompetenti e che hanno meno cose da insegnare proprio per distogliere l’attenzione dei propri studenti dalla propria incompetenza e della propria ignoranza. Essi, in realtà, alzano la voce e infondono il terrore tra le ingenue menti con cui hanno a che fare più che altro per proteggersi dai propri studenti, per nascondersi dai loro sguardi e per tentare vilmente di distorcere la realtà; una distorsione della realtà che mira ad infondere la convinzione che l’inadeguatezza non stia nella propria didattica, bensì nell’apprendimento dei discenti. Questo tipo di aggressività, dunque, è un modo per difendersi da implicite accuse ed una strategia di auto deresponsabilizzazione per scaricare su altri il peso delle proprie mancanze. Attraverso la propria aggressività, insomma, l’insegnante tradisce inconsapevolmente una certa impotenza. E a pensarci bene in fin dei conti cos’è la rabbia se non esattamente un segno di impotenza?

L’insegnante aggressivo, insomma, spesso non è altro che un vile ipocrita che non essendo all’altezza della proprie stesse aspettative fa di tutto per dissimularsi, per nascondersi e per mascherarsi dietro patetiche sceneggiate pubbliche. Il motto dell’insegnante autoritario, scontroso e aggressivo suona un po’ così: “La miglior difesa è l’attacco!”. Si attaccano gli studenti per esorcizzare una profonda vergogna di sé, un radicato senso di inadeguatezza, una sotterranea mancanza di fiducia nei confronti di sé e del prossimo.

L’aggressività, insomma, è spesso l’autodifesa di colui che disprezza sé stesso fino al punto di provare un risentimento che, non raramente, assume la forma di una subdola ed inconsapevole vendetta nei confronti degli altri, che finiscono con l’essere spettatori passivi e inconsapevoli di un brutale monologo, di una sublimata forma di autolesionismo, di una perversa forma di autodifesa.

Il testo che hai appena letto è tratto dall’archivio immaginario di una scuola invisibile ma ricca di storie interessanti.

Tutto cominciò così: “La genesi delle Memorie dal sottoscuola”

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