Plutarco: apprendimento ed ascolto
L’insegnante filosofo di Cheronea (46-125 d.C.) aveva le idee piuttosto chiare circa l’ascolto come qualcosa di attivo, vitale per la formazione del sé, oltre che preparatorio ad ogni sua espressione
“È evidente che un giovane che fosse tenuto lontano da qualunque occasione di ascolto e non assaporasse nessuna parola, non solo rimarrebbe completamente sterile e non potrebbe germogliare verso la virtù, ma rischierebbe anche di essere traviato verso il vizio, facendo proliferare molte piante selvatiche dalla sua anima, quasi fosse un terreno non smosso ed incolto. Le pulsioni verso il piacere e le diffidenze verso la fatica sono sorgenti per così dire native, e non esterne o fatte affluire in noi dalle parole, di infinite passioni e malattie, e se sono lasciate libere di riversarsi dove natura le guida e non si provvede a frenarle con buoni ragionamenti, bloccandone o deviandone il naturale fluire, non c’è belva che non possa apparire più mansueta di un uomo.
Dal momento dunque che l’ascolto comporta per i giovani un grande profitto ma un non minore pericolo, credo sia bene riflettere continuamente, con se stessi e con altri, su questo tema. I più invece, a quanto ci è dato vedere, sbagliano, perché si esercitano nell’arte di dire prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare, e pensano che per pronunciare un discorso ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dall’ascolto, invece, possa trarre profitto anche chi vi s’accosta in modo improvvisato. Se è vero che chi gioca a palla impara contemporaneamente a lanciarla e riceverla, nell’uso della parola, invece, il saperla accogliere bene precede il pronunciarla, allo stesso modo in cui concepimento e gravidanza vengono prima del parto. I parti e i travagli «di vento» delle galline si dice diano origine a gusci imperfetti e privi di vita: così realmente «di vento» è il discorso che esce da giovani incapaci di ascoltare e disabituati a trarre profitto attraverso l’udito, e oscuro ed ignoto, si disperde sotto le nubi. Quando travasa qualcosa, la gente inclina e ruota i vasi perché l’operazione riesca bene e non ci siano dispersioni, mentre, quando ascolta un filosofo, non impara ad offrire se stessa a chi parla e a seguire attentamente, perché non le sfugga nessuna affermazione utile. E quel che è più ridicolo è che se incontrano uno che racconta di un banchetto, di un corteo, di un sogno o dell’alterco avuto con un altro, restano ad ascoltarlo in silenzio e insistono per saperne di più; ma se uno li tira da parte e vuol dare loro un insegnamento utile, spronarli a qualche dovere, redarguirli in caso di errore o addolcirli quando sono irritati non lo sopportano e se ne hanno la possibilità si sforzano d’averla vinta e si mettono a controbattere le sue parole o, se proprio non ce fanno, lo piantano in asso e vanno alla ricerca di altri insulsi discorsi, riempiendosi le orecchie, quasi fossero vasi difettosi e incrinati, di qualunque cosa piuttosto che di ciò di cui hanno bisogno. I bravi allevatori rendono sensibile al morso la bocca dei cavalli: così i bravi educatori rendono sensibili alle parole le orecchie dei ragazzi insegnando loro non a parlare molto, ma ad ascoltare molto”.
[tratto da Plutarco di Cheronea, “L’arte di ascoltare”, in Tutti i moralia, Bompiani, Milano, 2017, p. 69]
Stupendo.
Articolo eccezionale. C’è un proverbio molto più triviale che dice che Dio ci ha dato due orecchie e una bocca proprio per ascoltare di più e parlare meno.