Cominciamo dal principio
Molti chiacchierano di “compiti di realtà”: ma non è realtà apprendere prima ciò che serve al dopo?
Per decenni quando si diceva scuola «elementare» non si pensava a una scuola leggera e disimpegnata. Solo ai sempiterni avanguardisti della didattica poteva saltare in mente che la parola «elementare» accanto alla parola «scuola» significasse facile. Chi aveva qualche cultura sapeva che «elementare» aveva a che vedere con gli elementi che non possono essere ulteriormente scomposti, con i fondamenti, con le basi su cui costruire tutto il resto: scrittura, lettura, calcolo.
La scuola «elementare» non poteva essere facile così come facili non sono gli Elementi di Euclide, tuttavia importantissimi; come facile non è la tavola periodica degli elementi imbastita da Mendeleev, che resta un mistero per la maggioranza degli umani pur costituendo un pilastro della chimica.
Chi aveva qualche esperienza di scuola sapeva che l’acquisizione di quelle capacità basilari di solito comporta fatica, poiché implica l’attivazione di processi psicofisici affatto nuovi nella vita del bambino, eppur propedeutici per tutti i suoi apprendimenti successivi.
Il germe però era stato seminato. Cominciava a crescere il numero di coloro che intendevano la parola “elementare” come “facile”, “poco importante”; di conseguenza cresceva la leggerezza con cui si lasciava correre la mancata acquisizione degli elementi di base da parte di troppi allievi. L’assurda convinzione che quegli allievi avrebbero recuperato le proprie mancanze col tempo, studiando altre cose la cui comprensione – nella realtà – presupponeva proprio la padronanza degli elementi di base, che loro non avevano acquisito, stava vincendo.
Nel 2003 arrivò la «scuola primaria», strombazzando esterofilia; facendo intendere (dal nome) che gli elementi di base non erano più una priorità: potevano aspettare, ad libitum. “Ciò che viene prima viene prima, e ciò che viene dopo viene dopo; ma solo perché bisogna stabilire una successione, mica perché c’è dietro un ragionamento, una propedeuticità…”, sembrava si dicesse.
In questo magma pedagogico relativo e vorticoso, dove le cose accadono (se accadono) prima o dopo senza un ordine logico, non ci stupisce oggi che, cinque anni prima dell’apparizione delle «scuole primarie», l’«esame di maturità» fosse già formalmente diventato «esame di Stato» chiarendo che pure la «maturità» dei ragazzi non era una priorità.
L’istruzione può attendere.