Contro l’educazione civica
Ma chi l’ha detto che l’educazione civica è una materia, importante quanto le altre?
Ma chi l’ha detto che la grammatica, le tecnologie del legno e la fisica dei quanti non siano di per sé molto civiche ed educative?
Sono stufo marcio del ricatto per cui, dal momento che nessuno li educa più a nulla, la scuola sia tenuta a sovraccaricare gli studenti di chiacchiere inutili.
Possiamo fare qualcosa, oltre a lamentarci e subire?

Diciamolo subito e a chiare lettere: l’educazione civica è una cagata pazzesca! I più delicati tra i lettori mi scuseranno la becera citazione, della quale non condivido con il ragioniere più sfortunato d’Italia il giudizio sul film di Éjzenštejn, ma di cui certo condivido l’esasperazione, e sono certo di non essere l’unico. È invero l’esasperazione di molti, di tutti coloro che si vedono costretti ad abdicare al loro ruolo di insegnanti per diventare all’occorrenza educatori (civici); è la rabbia di una silenziosa (troppo silenziosa!) moltitudine di docenti che ogni giorno si vedono defraudati del più civico tra i diritti–doveri a loro assegnati, ossia l’istruzione delle generazioni future; è la ribellione interiore di chi si trova ad adempiere a un comando imposto, di cui non condivide né ragioni, né metodi, né contenuti. È il grido di chi tenta faticosamente di trasmettere la millenaria tradizione culturale di cui è custode, e si vede quasi quotidianamente tolta questa possibilità, dagli stessi che gliela hanno affidata: è l’ennesima frustrazione a cui sono sottoposti ogni anno migliaia di docenti di ogni ordine e grado, ma che risulta la peggiore, perché aggravata da questa sua natura contraddittoria e beffarda.
Ma non basta, perché ogni docente degno di questo nome, è perfettamente consapevole in cuor suo che alla contraddizione sistemica, si aggiunge quella sostanziale, che riguarda la sua disciplina. Ciascuno degli insegnanti che ama fare ciò che fa, sa che al fondo della passione per la sua materia non ci sono solo i contenuti o l’erudizione, ma la consapevolezza che quei contenuti trasmettono dei valori, che toccano le corde della sua personalità e della sua vita, e quindi potenzialmente quella dei suoi studenti: ogni insegnante sa che la cosa più educativa e più civile che può fare in classe è insegnare la sua materia, e sa che questo è il miglior servizio che possa rendere a quei bambini, ai ragazzi e ai giovani che ha davanti.
Ogni materia è già implicitamente educativa, anzi potentemente educativa, qualsiasi materia, dalle più speculative alle più tecniche, da quelle più teoriche a quelle più laboratoriali; certo lo è indirettamente, perché non per forza tratta certi argomenti, ma lo è anche più efficacemente: le poesie di Dante o di Pablo Neruda, non sono forse più dense di significato dal punto di vista dell’educazione affettiva, di qualsiasi discorso su di essa? Non è forse più utile, anche se più lento, sviluppare nei giovani una sensibilità d’animo, una capacità di ponderazione e di distinzione dei propri sentimenti e pulsioni attraverso la lettura, affinché nel presente e nel futuro siano uomini onesti e amanti fedeli, invece che bestie dominate da istinti primordiali?
Com’è venuto in mente ai nostri governanti che potesse essere più utile per la formazione del cittadino, togliere spazio alle discipline per darlo ai discorsi sui temi educativi? Non è con le prediche che si diventa più buoni! Avete mai visto un giovane cambiare in virtù di un discorso più o meno convincente? Io no, per fortuna, e vale anche per i nostri studenti: nessuna delle ore di educazione civica subite in classe ha mai spostato di un millimetro l’asse dei loro comportamenti, né a scuola né fuori. Insomma, dopo diversi anni di tentativi, l’esperimento si può dire fallito.
Questa dell’educazione civica, lo sappiamo, è solo l’ultimo (speriamo lo sia) gradino di una scala discendente su cui la scuola cammina da un pezzo, non accorgendosi che passo dopo passo stava andando dritta verso l’abisso dell’irrilevanza; del resto, una volta che la scuola sia stata svuotata dal suo dovere primario di trasmettere conoscenze e che questo venga implicitamente accettato come dato a cui non si possa porre rimedio, diventa logico che essa sia usata almeno come levatrice di bravi cittadini, e quindi dispensatrice di ideologie moraleggianti, da innestare artificiosamente su persone considerate come tabula rasa. È un’idea nauseante, quand’anche fosse realizzabile, dal momento che meno cultura significa anche meno civiltà, dall’alba dei tempi.
Forse non tutti i colleghi all’ascolto saranno del mio stesso avviso, o non avranno la stessa furiosa avversione per questa invenzione fumosa, ed è legittimo: inviterei rispettosamente costoro a fare una riflessione profonda, a domandarsi cioè se non ritengano che la loro materia abbia già in sé delle potenzialità educative, se non pensino che sia di per sé molto civica (e in caso contrario a riscoprire queste sue virtù, anche per ritrovare le ragioni di cotanto impegno); e li inviterei soprattutto a domandarsi se prima dell’educazione civica non riuscissero a fare in termini di qualità e quantità e altrettanto bene (forse meglio) il loro mestiere, a cui nulla mancava.
Come tanti, sono anche io più che persuaso che certi contenuti abbiano effettivamente un’utilità, come ad esempio conoscere l’ordinamento dello Stato, la storia politica della nostra Nazione, le basi e la storia del diritto così come – almeno – i primi dieci articoli della nostra Costituzione: chi non sarebbe d’accordo? Noterete però che questi non sono già più dei discorsi, ma sono degli argomenti con dei contenuti ben precisi, e che se volessimo renderli parte del curriculum didattico, sarebbe opportuno e auspicabile reintrodurre la materia di Diritto ed Economia in tutti gli indirizzi, e con essa i docenti in grado di insegnarla, con l’enorme guadagno di avere risolto due problemi in uno: consegnare un contenuto veramente utile agli studenti, ed eliminare la fuffa atomica con cui sono riempite attualmente le ore di educazione civica.
Perché sappiamo tutti che il risvolto pratico di questa vicenda, per quanto obbligata, non è certamente quello atteso dal legislatore, dato che siamo pur sempre italiani e sappiamo destreggiarci con furbizia per sopravvivere alle avversità, secondo lo slogan “fatta la legge, trovato l’inganno”; sappiamo tutti cioè, dirigenti compresi, che – grazie a Dio! – molte di quelle ore non sono affatto vere e proprie ore di educazione civica, ma che sono solo firmate nel registro come tali, mentre il docente (non istituzionalizzato) continua imperterrito il suo mestiere, tenendo fede al suo personalissimo giuramento di Ippocrate: “Cascasse il mondo, io oggi devo fare lezione”. Davvero al Ministero pensano che ci siano milioni di docenti che entusiasticamente ogni mattina vanno a scuola pensando “Che bello, oggi farò ai miei studenti un bel discorso su com’è importante mangiare sano”? O che siano felici di vedersi scombinate le mattine dall’incontro fuori programma con l’esperto di sessualità? Suvvia…
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di poche ore all’anno, se trentatré ore vi sembrano poche, che suddivise tra i vari docenti del cdc si riducono ad un decimo circa; sappiamo però che questa non è la verità, per due ragioni: primo, perché non tutti i colleghi sono disposti a sobbarcarsi questo ennesimo impegno, e quindi quelle ore ricadono sempre sugli stessi; secondo, perché alla fine queste ore risulteranno essere assai di più!
Al di là dei conti, e sopra ogni altra cosa, rimane la questione di principio: fateci fare lezione, e basta!
Il Ministro dell’Istruzione che avesse il coraggio di liberarci da tutto ciò che non lo è, realizzerebbe il sogno di molti. E invece purtroppo non succede, perché sulla scuola sono ricaduti tutti i compiti che la disgregazione delle reti sociali ha lasciato sul tavolo incompiuti, su di lei sono state rovesciate tutte le educazioni a cui le famiglie hanno abdicato, e che le tecnologie hanno reso più difficili: ed ecco che l’educazione, questa bellissima parola, si vede ammorbata da tutti gli aggettivi possibili, che spuntano come funghi venefici: ambientale, ecologica, digitale, alimentare, affettiva, sessuale, stradale, legale, fiscale, al primo soccorso, alla sicurezza, al volontariato, alla diversità, all’inclusione, a cui si aggiungono le educazioni contro: contro il gioco d’azzardo, il bullismo, il femminicidio, la violenza, senza dimenticare quella contro le droghe e l’alcool, che a questo punto però potrebbero apparire al giovane studente come una soluzione ragionevole, o se non altro una via di fuga, giustificata da questo stato di cose.
Non sto dicendo, ovviamente, che fare del volontariato, avere cura dell’ambiente, trattare le persone con rispetto non siano cose importanti; ma allo stesso tempo non credo affatto che queste cose debbano trovare posto nella scuola, solo perché non hanno più un posto nella società. Ogni istituzione è utile e dà il suo meglio quando riesce nello scopo per cui è nata, a meno che non la si corrompa.
Verrebbe da domandarsi se sia nata prima la scuola-incontro/discorso e l’educazione civica abbia fornito il contenitore, o se sia stata l’educazione civica il cavallo di Troia da cui sono usciti questi squadroni di sabotatori del sapere, ma ormai la risposta è ininfluente; quello che conta è che queste iniziative e progetti siano promossi dai ds come fossero importanti, e che i docenti li usino per esaurire le ore di educazione civica il più “velocemente” possibile.
Naturalmente, con lo stesso criterio, si fanno uscite didattiche, uscite ambientali, ecc., a cui il consiglio di classe applaude: togliendo un’ora a ciascuno, si tolgono a tutti e in un sol colpo sei ore di aria fritta; oppure, soluzione ancora più scaltra, si sfiorano nella lezione contenuti affini ad educazione civica, e così si salvano capra e cavoli: si è svolta una lezione e l’altra, ma siamo nel campo dell’effetto placebo, al limite alle cure palliative.
Mi rendo conto che ci sono tanti, tantissimi docenti, che dovendo svolgere le ore di educazione civica e avendo una deontologia professionale più alta della mia, si mettono d’impegno per trasformare quelle ore in qualcosa di utile e ricco di contenuti, coinvolgendo realmente gli studenti e lasciando loro qualcosa: è lodevole, e meritano tutta la mia ammirazione, anche perché sono certo che le loro lezioni di materia siano svolte con uno spirito analogo. Ma perché chiedere a dei bravi docenti tutta questa fatica in più, quando potrebbero dirigerla verso il loro compito primario, ben più educativo e civico?
Senza contare che molti di essi si trovano a dover letteralmente improvvisare lezioni su contenuti ambientali, digitali, o altro, e quindi si vedono costretti loro malgrado a ripetere quelle quattro cose acquisite per sentito dire (senza dolo, perché per un docente odierno, avere il tempo di studiare è un lusso), con l’unico risultato – diametralmente opposto al suo scopo – di trasformare la lezione in un’incubatrice di luoghi comuni, invece che nella fucina del senso critico. A tutto questo poi si aggiunge il tema di una materia insegnata non da un docente, ma da dieci docenti insieme, e che su di essa sono financo chiamati a dare delle valutazioni, nell’esprimere le quali si verifica il paradosso di studenti gravemente carenti nello studio ma con ottimi voti in educazione civica, come dire che un bravo cittadino può essere tale, anche nella totale ignoranza dell’italiano o della storia: è assurdo! La verità è che queste valutazioni sono di fatto dei voti di condotta (“Tizio si è comportato bene, in uscita didattica?”), o sono frutto di prove facili, piccoli test senza contenuti, fatti con il solo scopo di raggranellare quel maledetto voto e riempire l’ennesima casella.
Sembra una tragedia, ma almeno una soluzione – finché ai piani alti non si convinceranno che la cultura, quando c’è, è già educativa e molto civica – l’abbiamo a portata di mano: il consiglio di classe è sovrano, e decide a quali incontri debbano o meno partecipare gli studenti. Ricordiamocelo, quando voteremo all’inizio del prossimo anno, che quell’incontro interessante e utile, potrebbe rubarci una o più ore di lezione o di verifica; ricordiamoci che non siamo obbligati a fare nulla, fuori dalla porta della nostra aula, soprattutto se non è approvato dal collegio o dal consiglio, e che anche queste decisioni non sono scritte nella pietra. Abbiamo il coraggio, in quelle sedi, di votare “no” alle sciocchezze che tolgano tempo al nostro lavoro. Se spuntano sabotaggi dell’ultim’ora, ribelliamoci – molto civicamente – rimanendo in classe, facendo valere il nostro diritto–dovere di insegnare, non importa se poi qualcuno farà figuracce con l’esperto o il caporale di turno perché l’incontro è andato semi deserto. E se abbiamo la “fortuna” di essere coordinatori, ricordiamo ai colleghi più zelanti la quantità di ore che già si perdono per l’orientamento e per il pcto, senza contare quelle per le uscite e gite scolastiche. Ricordiamoci infine che nella nostra ora di lezione siamo noi a decidere cosa è civico e cosa no (chi ha orecchie, intenda).
Riprendiamo, tutti, consapevolezza del valore assoluto della conoscenza, del valore inestimabile di ciò facciamo tutti i giorni, del compito altissimo che abbiamo! Smettiamo di subire il ricatto di chi dice che le cose importanti sono altre, quando l’unica veramente importante sembra essere diventata l’ultima.
Torniamo a ridare senso alla scuola, chiedendo ai nostri studenti di fare ciò per cui la scuola è nata: studiare, pensare, ragionare, anche discutere, ribellarsi perfino, ma soprattutto e possibilmente imparare.
Analisi lucida, appassionata, traspare chiaramente il grande amore per i ragazzi (quello vero, quello che vuole farli crescere) e la passione civica per la cultura e la sua trasmissione. Sono totalmente, direi calorosamente, d’accordo. Aggiungo solo qualche noticina.
A me sembra che si sia smarrito il semplice buonsenso e mi domando come sia possibile che nei vari livelli dell’istruzione, dai ministeriales in giù, non si capisca una cosa semplice, semplice: fare bene scuola è, ipso facto, anche educazione civica. Rispettare i turni nel parlare significa imparare il rispetto per il diritto di tutti di esprimersi, rispettare l’interrogazione programmata significa imparare ad assumersi qualche responsabilità e non solo nei confronti del Prof. o dell’istituzione ma anche nei confronti dei propri compagni, arrivare in orario a scuola è rispetto per la scuola ma anche per sé stessi, e penso che tutti potremmo andare avanti.
E’ vero, nell’ultimo mio anno di insegnamento arrivò l’ennesimo sciagurato marchingegno, intendo l’ed. civica, divenni coordinatore e la mia prima preoccupazione fu quella di disinnescarlo. Continuare ad andare avanti more solito compilando scartoffie fittizie. Credo che tutti o quasi i colleghi di buon senso facciano così. Ma perché dovere ricorrere a questi “sotterfugi” perché perdere tempo e energie in scartoffie e fuffa inutile?
Infine le dolenti note, la mia battaglia per cercare almeno di ridurre il dispendio enorme di tempo ed energie impiegate nei progetti più svariati e pittoreschi (dal ballo sardo alla sagra del gnocco fritto) nelle assemblee, nelle visite di un giorno, nei viaggi distruzione (senza apostrofo), nell’orientamento (allegre scampagnate all’università) nel PCTO, nelle varie giornate di questo o di quell’altro, è andata avanti per molti, molti anni, a parole molti colleghi solidarizzavano, nel Collegio Docenti o nei C.d.Classe rimanevo sempre da solo col cerino in mano, tutti a difendere il proprio “particulare” il proprio progetto, la propria gita, etc. etc. Triste, molto triste.