Dewey, Colombo e i terrapiattisti

L’incapacità di Dewey di osservare la realtà trasforma la sua scrittura in un teatro del pregiudizio.

«Pensare a una nuvola come se fosse una balena o un cammello – nel senso di ‘fantasticarvi su’ – non impegna una persona alla conclusione che chi possiede quell’idea debba voler cavalcare un cammello o estrarre l’olio dalla balena. Ma quando Colombo ‘pensò’ che il mondo fosse rotondo, nel senso che ‘credette che fosse così’, lui e i suoi seguaci si impegnarono in una serie di altre credenze e azioni: a credere nella via delle Indie, a ciò che sarebbe successo se delle navi avessero navigato l’Atlantico in direzione dell’Occidente ecc., esattamente come il pensiero che il mondo fosse piatto induceva i suoi sostenitori a negare la possibilità della circumnavigazione, a considerare la Terra limitata a quella piccola parte civilizzata di cui gli europei erano a conoscenza ecc.» [1].

In questo brano tratto dalle pagine iniziali di «Come pensiamo», Dewey sembra credere che nel XV secolo si siano fronteggiate in Europa due scuole geografiche: i terrapiattisti e, per così dire, i terratondisti, di cui Colombo sarebbe stato il capofila. Dewey si mostra ben informato su questo scontro teorico e non si esime dal prendere posizione in favore della prima scuola. Continua infatti come segue.

«Il primo pensiero, la credenza nella conformazione piatta della Terra, era in qualche modo fondato su dati; poggiava su ciò che gli uomini possono facilmente constatare nei limiti della loro osservazione. Ma questi dati non erano stati esaminati più a fondo, non erano stati controllati prendendo in considerazione altri elementi; non c’era stata una indagine volta a stabilire nuovi dati. In ultima analisi quell’opinione poggiava sulla pigrizia, sull’inerzia, sulla tradizione, sulla mancanza di energia e di coraggio nell’indagine».

Da una parte ci sono i tradizionalisti, che restano aderenti al terrapiattismo perché non hanno né l’energia né il coraggio di uscire dalla pigrizia, di prendere in considerazione altri elementi e di stabilire nuovi dati. Quali siano stati gli altri dati, Dewey stesso si risparmia di dirlo. È per lui sufficiente avere stabilito l’identità tra pigrizia e tradizione, averne fatto il fondo oscuro da cui far emergere la luce dell’atteggiamento induttivo, che non si appaga delle vecchie convinzioni, ma mette insieme nuovi dati e ne trae nuove ipotesi alternative.

«L’altra opinione si basa invece su una ricerca diligente ed estesa, sul deliberato ampliamento dell’area di osservazione, su una deduzione logica delle conclusioni di ipotesi alternative, per determinare le eventuali conseguenze nel caso in cui ci si decidesse a credere nell’una o nell’altra».

Contro la pigrizia tradizionalistica dei terrapiattisti si stagliano dunque Colombo e i suoi seguaci, armati di metodo induttivo, del learning by doing, dell’immergersi nei fatti per trarne conclusioni.

«Colombo poté arrivare a formulare la sua ipotesi grazie alle perplessità suscitategli dalla teoria tradizionale, ai dubbi e alle indagini che intraprese. Scettico su ciò che per lunga abitudine sembrava maggiormente certo, e pieno di fede in ciò che appariva impossibile, egli continuò a indagare fintanto che non poté addurre i dati tanto a sostegno della propria opinione quanto della falsità dell’opinione opposta».

Dewey descrive un Colombo non qual è nella storia, non un navigatore di consumata esperienza, che viaggia per conto di una compagnia portoghese tra il Golfo di Guinea e l’Islanda, subisce un rovescio finanziario, abbozza un piano avventuroso e cerca appoggio in diverse monarchie europee trovandolo infine nella regina Isabella di Castiglia. Il Colombo di Dewey è un’essenza metafisica, uno scienziato insoddisfatto dell’ipotesi esplicativa tradizionale, che ne elabora una alternativa e si affatica per trovare dati contro il vecchio e in favore dell’innovazione. Se obiettassimo che la metafisica non deve tradire l’esperienza, Dewey ci risponderebbe che è la nostra limitatezza, il nostro pigro tradizionalismo, a farci parlare di tradimento, che il suo Colombo metafisico è il nucleo stesso del Colombo storico.

Possiamo dubitare che Dewey, fautore appassionato dell’induzione, non si sia armato delle tabulae baconiane e abbia lui stesso indagato a lungo e con diligenza su Colombo, che non abbia valutato con accuratezza diverse ipotesi, per arrivare infine a enunciare le sue conclusioni con tanta nitidezza?

Sì, certo: possiamo dubitarne. Nel XV secolo non ci risulta nessun dibattito tra terrapiattisti e terratondisti, e nel dibattito che si infiammò nel XVI secolo, quello tra geocentrici ed eliocentrici, entrambi i partiti sapevano che la Terra era sferica, e lo sapevano non perché avessero fatto ampie indagini o perché avessero perplessità sulla teoria tradizionale, ma semplicemente perché questa era la teoria tradizionale che si leggeva sui libri degli antichi, perché Tolomeo concepiva la Terra non meno rotonda di quanto la concepisse Aristarco o Copernico. A scoprire la forma del nostro pianeta erano stati gli antichi Greci, e nel III secolo a. C. uno di loro, Eratostene, misurò addirittura, con la forza di una semplice deduzione, la circonferenza del pianeta e la trovò di 250.000 stadi, cioè di 39.375 km, una misura non molto lontana dai 39.941 km effettivi. La scoperta divenne patrimonio della tradizione scientifica prima romana e poi europea, squalificando definitivamente il terrapiattismo. Dalla misurazione di Eratostene risultavano certamente l’ovvietà della forma rotonda della Terra e la possibilità teorica di circumnavigarla, ma anche l’impossibilità pratica per le navi del XV secolo di giungere dall’Europa alla Cina attraverso un oceano ampio quanto il Pacifico e l’Atlantico fusi insieme. I Portoghesi, da cui Colombo aveva imparato a navigare nell’oceano, lo sapevano e per questo, non perché credessero che la Terra fosse piatta, gli negarono l’appoggio.

Il viaggio di Colombo non si basò su«una ricerca diligente ed estesa, sul deliberato ampliamento dell’area di osservazione, su una deduzione logica delle conclusioni di ipotesi alternative», ma sulla sopravvalutazione della lunghezza dell’Asia e sulla sottovalutazione della circonferenza terrestre da parte del geografo Toscanelli, con cui Colombo era in contatto. Il doppio errore del geografo fiorentino, e non la sua ricerca diligente, gli fece credere che la distanza tra la Spagna e il Giappone fosse meno di un quinto di quella effettiva e lo spinse a tentare il viaggio. A salvarlo da morte sicura fu una scoperta che a tal punto non aveva previsto da non essere in grado neanche di riconoscerla: un intero continente, che non a caso si chiama America, non Colombia.

Dewey non ha scritto di Colombo sulla base di «una ricerca diligente ed estesa, sul deliberato ampliamento dell’area di osservazione, su una deduzione logica delle conclusioni di ipotesi alternative», ma sulla base dei suoi pregiudizi. Il primo è quello contro la tradizione, che gli fa credere che l’innovazione ne sia il rifiuto, anziché la continuazione. Il secondo è il pregiudizio contro l’astratto, che gli fa credere che la scienza sia il prodotto non dell’esplorazione teorica disinteressata, ma dell’attività pratica immediata. Questi due pregiudizi sono l’essenza della sua pedagogia: il disprezzo della tradizione scientifica lo porta a sottovalutare le difficoltà di trasmetterla e di acquisirla e il ruolo dell’insegnante nell’affrontarle; il disprezzo del linguaggio, per cui esso sarebbe uno strumento di comunicazione, non di conoscenza teorica, lo porta alla sopravvalutazione del doing nello sforzo del learning. La volgare distruttività dell’attivismo pedagogico non è un tradimento del pensiero di Dewey, ma il suo esito necessario.


[1] Le citazioni di Dewey sono tratte da Come pensiamo, trad. di Guccione Monroy e Bove, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019, pp. 7-8.

Un commento

  1. Analisi profonda, ineccepibile. Io però lascerei perdere i bambini, i quali non solo sono innocenti (rispetto alle storture di Dewey), ma sono anche portatori sanissimi del più fantastico potere di indagine scientifica: quello di porsi le domande che gli adulti, e tra loro soprattutto i conservatori e tradizionalisti, hanno smesso da tempo di farsi.

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