Educare a principi e valori scorporati dalle conoscenze può essere un rischio
Il dibattito sui rapporti tra educazione ed istruzione in epoca illuminista è ricco di insegnamenti ancor validi
Jean Antoine de Caritat, marchese di Condorcet (1743 – 1794), fu matematico, intellettuale e politico di punta durante la Rivoluzione francese. Si occupò anche di istruzione, e si oppose a visioni della scuola radicali ed utopiche, tese alla creazione di un improbabile ‘”uomo nuovo”, al pari di quelle espresse da Saint-Just oppure da Lepeletier. Questi teorizzava l’istituzione di collegi dove i bambini, sottratti alle famiglie, potessero essere allevati precocemente ai valori e ai principi rivoluzionari. A tali concezioni Condorcet rispondeva invitando all’uso della ragione finalizzato alla comprensione della realtà, sempre e comunque; ed affidando perciò alle scuole pubbliche la trasmissione del sapere, cioè della conoscenza delle “verità di fatto” e del “calcolo”. Egli scorgeva con lucidità i rischi connessi alle tendenze di ogni potere politico a procurarsi una cieca fedeltà delle moltitudini proprio ricacciandole nell’ignoranza e dando loro qualcosa in cui credere:
“Del resto, l’educazione, se la si considera in tutta la sua estensione, non si limita all’istruzione positiva, all’insegnamento delle verità di fatto e del calcolo, ma abbraccia tutte le opinioni politiche, morali o religiose. La libertà di queste opinioni non sarebbe che illusoria, se la società si impadronisse delle nascenti generazioni per imporre loro ciò che devono credere. Colui che, entrando nella società, vi porta le opinioni che la sua educazione gli ha dato, non è più un uomo libero; egli è lo schiavo dei suoi maestri, e le sue catene sono tanto più difficili da spezzare in quanto egli non si considera incatenato, e crede di obbedire alla propria ragione quando, invece, non fa che sottomettersi a quella di un altro. Si dirà forse che egli non sarebbe realmente libero, se non ricevesse queste opinioni dalla sua famiglia. Ma, in tal caso, queste opinioni non sono le stesse per tutti i cittadini; ciascuno si accorgerà presto che la propria convinzione non è universale, e capirà allora di non doversene fidare, poiché essa non ha più, ai suoi occhi, il carattere di una verità convenzionale, e se persiste nel l’errore, questo diventa un errore volontario. L’esperienza ha mostrato quanto il potere di queste prime idee si indebolisce non appena si oppongono ad esse nuovi reclami: si sa che allora la vanità di respingerle prevale spesso su quella di non cambiare. Quand’anche queste opinioni cominciassero con l’essere più o meno le stesse in tutte le famiglie, se un errore della potenza pubblica non offrisse loro un punto d’incontro, presto le si vedrebbe dividersi, e quindi ogni pericolo sparirebbe con l’uniformità. D’altra parte, i pregiudizi prodotti dall’educazione domestica sono una conseguenza dell’ordine naturale delle società, e una savia istruzione, diffondendo i lumi, ne rappresenta il rimedio; invece i pregiudizi prodotti dalla potenza pubblica sono una vera tirannia, un attacco contro una delle parti più preziose delle libertà naturali”
[tratto da “L’educazione pubblica deve limitarsi all’istruzione” in Condorcet, Gli sguardi dell’illuminista. Politica e ragione nell’età dei lumi, a cura di Graziella Durante, Edizioni Dedalo, Roma, 2009, pp. 116-117].
Condorcet giungeva a contestare un’istruzione che contemplasse l’educazione acritica dei giovani agli ideali della Costituzione repubblicana senza che questi fossero messi continuamente in discussione.
Esiste una possibile relazione tra i rischi illustrati da Condorcet e la scelta odierna, che menziono a puro titolo di esempio, di introdurre l’educazione alla cittadinanza nelle scuole secondarie di secondo grado (immaginandola come un disciplina davvero a sé stante) anziché lo studio tradizionale e metodico del diritto? A me pare di sì. Leggiamo:
“Si è detto che l’insegnamento della costituzione di ogni paese deve far parte dell’istruzione nazionale. Questo è vero, ma senza dubbio, se se ne parla come di un fatto; se ci si accontenta di spiegarla e di svilupparla; se, insegnandola, ci si limita a dire: Tale è la costituzione stabilita dallo Stato alla quale tutti i cittadini devono sottomettersi. Ma se si intende che bisogna insegnarla come una dottrina conforme ai principi della ragione universale, o suscitare nei suoi confronti un cieco entusiasmo che rende i cittadini incapaci di giudicarla; se si dice loro: Ecco ciò che voi dovete adorare e credere, allora è una specie di religione che si vuole creare; è una catena che si prepara agli spiriti e si vìola la libertà nei suoi diritti, i più sacri, sotto il pretesto di insegnare a sceglierla”
[tratto da: N. Condocet, “Prima memoria sull’istruzione pubblica” in Bronislaw Baczko, Un’educazione per la democrazia, CasaDeiLibri editore, Padova, 2009, p.94, nota 5].