Gramsci: un’idea di scuola cestinata senza spiegazioni
Il grande interprete del pensiero marxiano e crociano ci ha lasciato una lezione che nessuno ha voluto apprendere, e resta tuttora inconfutata
“Si studia la storia letteraria, dei libri scritti in quella lingua [lingua latina, nota mia], la storia politica, le gesta degli uomini che hanno parlato quella lingua. Da tutto questo complesso organico è determinata l’educazione del giovinetto, dal fatto che anche solo materialmente ha percorso tutto quell’itinerario, con quelle tappe ecc. Si è tuffato nella storia, ha acquistato una intuizione storicistica del mondo e della vita, che diventa una seconda natura, quasi una spontaneità, perché non pedantescamente inculcata per «volontà» estrinsecamente educativa. Questo studio educava senza averne la volontà espressamente dichiarata, col minimo intervento «educativo» dell’insegnante: educava perché istruiva. Esperienze logiche, artistiche, psicologiche erano fatte senza «rifletterci su», senza guardarsi continuamente allo specchio, ed era fatta specialmente una grande esperienza «sintetica», filosofica, di sviluppo storico-reale” […]
“Bisognerà sostituire il latino e il greco come fulcro della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale della personalità, partendo dal fanciullo fino alla soglia della scelta professionale. In questo periodo infatti lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere (o apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè scopi pratici immediati o troppo immediati, deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete”
[Quaderno 12, “Per la storia degli intellettuali” (1932) in Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 2014, Vol. III, p. 1546]
“Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola «disinteressata» (non immediatamente interessata) e «formativa» o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori e di donne che non devono pensare a prepararsi un avvenire professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminate” [Quaderno 12, “Per la storia degli intellettuali” (1932) in Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 2014, Vol.III, p. 1531]
“Nella scuola attuale, per la crisi profonda della tradizione culturale e della concezione della vita e dell’uomo, si verifica un processo di progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè preoccupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il sopravvento sulla scuola formativa, immediatamente disinteressata. L’aspetto più paradossale è che questo nuovo tipo di scuola appare e viene predicata come democratica, mentre invece essa non solo è destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle in forme cinesi.
La scuola tradizionale è stata oligarchica perché destinata alla nuova generazione dei gruppi dirigenti, destinata a sua volta a diventare dirigente: ma non era oligarchica per modo del suo insegnamento. Non è l’acquisto di capacità direttive, non è la tendenza a formare uomini superiori che dà l’impronta sociale a un tipo di scuola. L’impronta sociale è data dal fatto che ogni gruppo sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in questi strati una determinata funzione tradizionale, direttiva o strumentale. Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare-media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige.
Il moltiplicarsi di tipi di scuola professionale tende dunque a eternare le differenze tradizionali, ma siccome, in queste differenze, tende a suscitare stratificazioni interne, ecco che fa nascere l’impressione di una sua tendenza democratica. Manovale e operaio qualificato, per esempio; contadino e geometra o piccolo agronomo ecc. Ma la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un operaio manovale diventa qualificato, ma che ogni «cittadino» può diventare «governante» e che la società lo pone, sia pure «astrattamente», nelle condizioni generali di poterlo diventare” [Quaderno 12, “Per la storia degli intellettuali” (1932) in Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 2014, Vol.III, p. 1547]
[nella fotografia sopra: Antonio Gramsci -al centro- ai tempi del ginnasio]
Per Gramsci democratizzare la scuola significava rendere disponibile a TUTTI la cultura teorica (disinteressata, dunque in grado di far parlare le cose) prima riservata soltanto a una ristretta élite. La pedagogia progressiva (Dewey, Kilpatrick) ha inteso democratizzare la scuola sottraendo la cultura teorica a tutti per sostituirla con il pratico e il ricreativo. In altre parole, la concezione gramsciana dell’uguaglianza come pari opportunità è stata cancellata dalla concezione progressista dell’uguaglianza come risultato ugualmente mediocre o nullo. È della massima importanza capire che la proposta di Gramsci è un’eccezione del tutto isolata nel quadro dell’ideologia progressista, perché si imputi la riduzione delle scuole a un pascolo a chi effettivamente l’ha voluta e realizzata, cioè alla pedagogia progressista, non alle élite capitaliste, che al massimo sono state complici. Se non ha individuato il nemico, la lotta per la restaurazione della scuola è perduta prima di iniziare.