Ho perso le parole…I ragazzi di fronte all’ostacolo linguistico

La deriva del linguaggio nei giovanissimi è un argomento di cui si parla spesso in modo superficiale, rinunciando a scandagliare le motivazioni che hanno portato a una progressiva perdita della capacità di maneggiare la lingua e senza chiedersi come si potrebbe correre ai ripari. Si accusano genericamente i mezzi tecnologici di aver sottratto ai giovanissimi la capacità di esprimersi con termini appropriati e complessi e di elaborare un pensiero profondo e articolato.

La deriva del linguaggio nei giovanissimi è un argomento di cui si parla spesso in modo superficiale, rinunciando a scandagliare le motivazioni che hanno portato a una progressiva perdita della capacità di maneggiare la lingua e senza chiedersi come si potrebbe correre ai ripari. Si accusano genericamente i mezzi tecnologici di aver sottratto ai giovanissimi la capacità di esprimersi con termini appropriati e complessi e di elaborare un pensiero profondo e articolato.

Non mancano le voci che minimizzano le conseguenze derivanti dalla scarsa padronanza dell’italiano, ricorrendo alla motivazione che è nel normale corso delle cose che ci si avvii a una lingua globale essenziale, pragmatica, adeguata ai tempi veloci di una società dominata dalla tecnica, di facile comprensione e che abbatta le barriere che ancora separano i paesi. Ci si astiene, così, dal ricercare la causa di un progressivo imbarbarimento della lingua che, al contrario di quanto affermano i paladini del villaggio globale, colpisce con forza la conoscenza di base della realtà e danneggia la possibilità di pensiero astratto. Sembrava indiscutibile, in tempi passati, che la padronanza della lingua fosse la chiave d’accesso alla conoscenza. Ora, invece, nonostante gli allarmi, si scantona, si sdrammatizza, si sostituisce l’indispensabile dominio della lingua madre con la necessità di imparare precocemente la lingua inglese.
Si sdoganano, con simpatia e leggerezza, parole di uno slang ibrido, a volte regionalizzato e che viene propagandato attraverso proposte consumistiche veicolate da musica di bassissimo livello, articoli social, prodotti editoriali di veloce consumo e di altrettanto veloce evaporazione, si consente l’impiego corsaro di una intelligenza artificiale che fornisce un frasario appiattito e utilitaristico, buono per tutti gli usi.

Gli allarmi di linguisti e intellettuali restano, quindi, inascoltati. Sembra assodato che ce la si possa cavare, nella vita quotidiana, come nel percorso scolastico, ma addirittura in settori specifici in cui la lingua dovrebbe essere al primo posto, come quello giornalistico, con rudimenti superficiali della propria lingua, cui si può arrivare con sforzo minimo.

Eppure, nonostante l’esposizione a messaggi sempre più semplificati da parte dei media e ad una realtà veloce e priva di possibilità di riflessione, sarebbe ancora possibile trovare un rimedio, se non si deresponsabilizzasse l’istituzione che sarebbe deputata a promuovere l’ampliamento del lessico e la padronanza della lingua: la scuola.

È certo che, qualora l’attenzione si volgesse ad essa, senza dubbio il focus sarebbe concentrato sulle scuole secondarie, soprattutto di secondo grado, da cui si alza il grido di dolore di insegnanti in perenne affanno nello spiegare concetti che precedenti generazioni comprendevano senza difficoltà.

Pochi si chiedono come quei ragazzi siano arrivati ad un’acquisizione del lessico tanto modesta. Cosa sarà accaduto negli anni precedenti? Tv, tablet e smartphone hanno sicuramente il loro ruolo nel disastro, ma non possono essere i soli responsabili.

Il lungo percorso sull’appropriazione della lingua, partito dalla scuola dell’infanzia e primaria, come può aver generato frutti tanto scarsi?

Le ragioni sono numerose, ma in parte rintracciabili nell’abbandono di pratiche didattiche che hanno accompagnato nel tempo gli studenti e che sono state man mano archiviate, mentre, negli ultimi anni, la scuola è stata travolta da un’ondata innovativa a base di metodologie discutibili e prassi inadeguate a raggiungere gli obiettivi.

Cinque anni di scuola primaria potrebbero essere una palestra linguistica significativa e arricchente… ma non è così e i problemi iniziano proprio da lì. A partire dall’approccio linguistico degli insegnanti che, nel tempo, sembra risentire sempre di più di quella tensione a non differenziare l’ambiente scolastico da quello familiare. Gli alunni vengono accolti e coccolati con un lezioso lessico bambineggiante, che riecheggia quello materno e che si prolunga fino alle classi terminali, in ossequio al filone pedagogico imperante che mette al primo posto il benessere e l’accoglienza dei discenti. Si utilizza un linguaggio scarno, ridotto al minimo, circoscritto al tempo presente e finalizzato alla gestione di consegne essenziali. Eppure, tendendo l’orecchio, nel tempo libero si colgono i ragazzini, specialmente i più grandicelli, utilizzare con maestria e spregiudicatezza frasi prese a prestito dal linguaggio criptico dei gamer o dai testi rap e trap, dimostrando una certa competenza nell’utilizzo di una lingua imbastardita, ma che ha la sua terminologia e le sue regole, di cui si sono impadroniti senza alcuna difficoltà e che utilizzano, spesso, per tenere a distanza l’ingerenza degli adulti.

Un contributo determinante all’arricchimento del lessico dovrebbe provenire dalla lettura. L’abitudine di portare avanti una biblioteca di classe che induca i bambini allo scambio e alla lettura di molti testi durante l’anno, purtroppo, è stata quasi abbandonata. La problematica più rilevante, però, riguarda i libri di testo che hanno rinunciato, da anni, a proporre brani letterari di livello, tratti dai grandi autori italiani. È ormai improbabile imbattersi in un brano di Calvino o Deledda o Moravia, un tempo frequenti sui libri di lettura delle elementari. I brani proposti sono, spesso, per ragioni ignote, traduzioni di autori anglofoni, per lo più sconosciuti, in cui il lessico è, per motivi legati alla traduzione, necessariamente poco ricercato, mentre la presenza di numerosi nomi in lingua inglese rende la lettura poco scorrevole, distogliendo dalla comprensione dei fatti narrati. Abbondano i testi fantasy e mistery, ampio spazio è dedicato ai testi regolativi e informativi, mentre scompaiono i testi descrittivi e
argomentativi, i racconti di esperienze di vita, i testi realistici.

La costruzione sintattica, sempre meno complessa, non incentiva allo sforzo della comprensione e troppo spazio è riservato, sulle pagine, ad attività che facilitano ogni piccolo ostacolo proposto dal testo. Accanto ad ogni lettura si trovano, inoltre, proposte che distraggono dalla comprensione autonoma e dalla riflessione su quanto si è letto e invitano i bambini a banali completamenti o veloci rispostine a test a scelta multipla. Attività che fagocitano l’attenzione e spingono a compilare affrettatamente e
superficialmente gli spazi vuoti, finendo per rendere infruttuoso il tempo utilizzato per la lettura in classe.
Sui libri di lettura si dovrebbero trovare solo i brani.

La pratica della lettura a voce alta da parte dell’insegnante, anch’essa importantissima per ampliare il lessico, è sempre più difficile da attuare per il poco tempo a disposizione, divorato da una proliferazione incontrollata di proposte didattiche frammentarie e sempre più scenografiche e da progetti e iniziative d’ogni tipo. Dove si riesce a portare avanti questa attività, le proposte sono di poco spessore. Si leggono in quarta, quinta, libri semplici e brevi, poiché l’attenzione dei bambini, poco esercitata, è labile e incostante.

Un esercizio assolutamente bandito dalle aule scolastiche da tempo, è quello del copiato. Eppure, la copiatura di brani nel primo biennio di acquisizione della lingua scritta, poteva facilitare l’interiorizzazione di parole nuove e poco usuali, insieme alla capacità di scriverle correttamente. Altresì è quasi scomparso l’antico e fondamentale dettato, che prevede un lavoro di scrittura lento e con difficoltà progressive, in cui si è obbligati a soffermarsi sulla singola parola e, mentre la si scrive, a chiedersi il suo significato. La spiegazione in classe, con esempi e occasioni d’uso della parola nuova, permette di memorizzarla e di poterla riutilizzare.

Sempre meno proposto è il prezioso lavoro di ricerca dei termini difficili sul vocabolario cartaceo. Didatticamente è un’attività faticosissima e che impegna moltissimo tempo. Prendere confidenza con il vocabolario richiede molte sessioni di intenso lavoro con l’intero gruppo classe. La ricerca dei vocaboli, però, è determinante per impadronirsi di parole complesse e riportare il significato della parola cercata sulla vetusta rubrica cartacea, permette di impadronirsi del nuovo termine. Cartelloni murali settimanali su cui annotare le nuove parole individuate, costituiscono una memoria condivisa importante e che sollecita il riutilizzo delle parole imparate. Ridondanza e ripetizione, nella fascia d’età della primaria, rappresentano ancora canali privilegiati perché le conoscenze restino.

Ulteriore tassello affinché le parole incontrate vengano assimilate, è l’attività di scrittura, negata o fortemente ostacolata dalle poche ore a disposizione per l’apprendimento della lingua, da pratiche didattiche che relegano all’ultimo posto la scrittura autonoma e, soprattutto, dai pessimi “quaderni di scrittura” allegati ai libri di lettura e che stanno sostituendo tutto il lavoro che veniva svolto sul quaderno, attraverso la compilazione di proposte didattiche preconfezionate, essenziali e di veloce svolgimento. Quindi, sbattuti in soffitta per sempre riassunti, temi, attività di comprensione scritta e di manipolazione del testo, con tutto ciò che segue in termini di perdita di capacità di utilizzare la lingua con sicurezza.

Anche l’antica pratica di proporre poesie d’autore era straordinariamente significativa per l’acquisizione di parole nuove e ricercate, la memorizzazione le fissava permanentemente, riportandole alla mente anche in stagioni successive, in cui il prezioso bagaglio lessicale avrebbe acquisito pienamente senso alla scuola secondaria, con l’analisi dettagliata dei brani poetici e lo studio degli autori.

Un capitolo a parte andrebbe riservato allo studio della grammatica, alla memorizzazione di tutte le forme verbali, di tutti i modi, al lavoro sistematico di coniugazione dei verbi scritti e all’esercizio di scrittura in cui modi e tempi vengano utilizzati correttamente. All’analisi logica, nel biennio terminale della primaria, andrebbero dedicati tempo e attenzione. L’abitudine all’analisi della costruzione della frase porta maggiore comprensione nella lettura, scrittura più coerente e implementa l’abilità di esprimersi attraverso frasi orali e scritte di senso compiuto.

Infine, la necessaria e insostituibile attività di esposizione delle discipline orali.
Dover leggere, comprendere e riesporre un paragrafo di storia o di scienze o descrivere una regione geografica, porta a dover organizzare in modo logico il materiale di studio, ad “ascoltarsi” mentre si parla e ad utilizzare i termini specifici della materia, ma ad oggi si va sempre più precocemente verso attività laboratoriali di gruppo, verso la ricerca autonoma di informazioni (che si traduce in un superfluo copia-incolla da Internet) e nell’esposizione di minime porzioni di materiale in sbrigative interrogazioni collettive, oppure si indirizzano indistintamente i bambini verso le mappe concettuali pronte, ormai presenti in tutti i libri e per tutti gli argomenti, finendo per richiedere un sapere mnemonico e vuoto, ridotto all’osso, che verrà esposto senza che avvenga una
ricaduta sulla capacità di argomentare in modo logico e coerente e utilizzare un lessico gradualmente più alto e appropriato.

Così, i bambini escono dalla quinta con una padronanza della lingua molto scarna e una capacità di esprimersi decisamente al di sotto di quanto potrebbe essere richiesto. Di conseguenza, si abbassa il livello delle aspettative riguardanti le abilità linguistiche alla secondaria di primo grado e si finisce al liceo con un bagaglio lessicale minimo, che porta a dubbi e incertezze profondi sulla comprensione e non consente di affrontare nel modo adeguato le materie e gli argomenti di studio.

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