Il fine di alcune scuole e di alcuni dirigenti scolastici non è l’istruzione
Siamo sicuri che il fine prioritario di tutte le scuole coincida con quello dell’istruzione?
Ecco la settima memoria dal sottoscuola. Siamo di fronte ad un pensiero che riflette sul ruolo di alcuni dirigenti scolastici e sul loro rapporto con il processo di insegnamento e apprendimento, nonché sul fine di alcune scuole che, sorprendentemente, non sembra coincidere con quello dell’istruzione. Mentre leggevo queste parole ho avuto la conferma che stavo cercando: in questo ripostiglio segreto sono stati archiviati e tenuti nascosti i pensieri critici nei confronti di questa scuola abbandonata in particolare e del sistema scolastico in generale. Ora capisco. Chissà chi furono queste coraggiose persone che trovarono la forza di esporsi alla censura del sistema e chissà cosa gli capitò!
Ci sono alcuni dirigenti scolastici che non sono interessati quasi per nulla alla didattica vera e propria, all’efficacia dell’insegnamento, all’importanza dell’apprendimento e alla formazione degli studenti. A parole, certo, molto spesso fingono di esserlo, ma all’atto pratico, di fronte alle situazioni concrete con i loro comportamenti e i loro atteggiamenti dimostrano chiaramente il contrario. Per alcuni di loro, per esempio, prima dell’apprendimento vengono le questioni burocratiche o familiari: per loro sono prioritari i problemi di gestione legati all’amministrazione di una azienda, pubblica o privata che sia. Più di qualche volta, insomma, i dirigenti scolastici vedono la scuola da una prospettiva diversa da quella degli insegnanti: ad essi non interessa nulla o quasi della conoscenza, della trasmissione del sapere e della formazione intellettuale dei ragazzi, oppure, quando si interessano alla didattica lo fanno soprattutto per sponsorizzare certi trend ministeriali, sbandierando al vento gli slogan più popolari del momento anche per essere, o perlomeno per sentirsi, meno attaccabili.
Esistono dirigenti, dunque, che sono primariamente preoccupati di risolvere i problemi gestionali riferibili a vari aspetti del sistema scolastico che rientra sotto il loro controllo, diretto o indiretto che sia, oppure ancora di prevenire ogni tipo di problematica nel tentativo di abortirla ancora prima che veda la luce.
E tutto questo è certamente comprensibile.
Il problema, però, è che questa loro tendenza al “problem solving” e al “problem preventing” si traduce spesso nella presa di decisioni, nell’adozione di atteggiamenti e comportamenti che non tutelano affatto l’insegnamento, né l’apprendimento, né tantomeno la formazione degli studenti, ma quasi ed esclusivamente il generale interesse dell'”azienda” stessa. Questi dirigenti, insomma, pur di avere un problema in meno, assecondano alcuni genitori nelle loro richieste illegittime o comunque poco ragionevoli, impedendo al docente di turno di svolgere il proprio lavoro. Essi, dunque, agiscono spesso in nome della loro convenienza professionale (anche se di professionale qui c’è ben poco) e non in nome di ciò che è giusto. Certo non tutti i dirigenti sono così, fortunatamente, ma è bene tenerlo sempre a mente: i dirigenti non sono insegnanti e se lo sono stati, quasi sempre non lo sono più. Essi fanno un altro mestiere: gestiscono un complesso umano, relazionale e organizzativo sicuramente molto articolato e complicato.
La didattica, l’insegnamento e il lavoro in classe, però, sono ben altra cosa. E tutto ciò porta a questa ragionevole conclusione: il bene degli studenti, purtroppo, non sempre coincide con ciò che è conveniente per la dirigenza. E questo spiega anche perché alcuni insegnanti, per svolgere nel modo migliore il loro dovere, si trovano addirittura a doversi scontrare con i loro dirigenti: questi ultimi, infatti, invece di elogiare, sostenere o incoraggiare i docenti più appassionati, onesti e zelanti, li ostacolano in diversi modi proprio per non permettere loro di svolgere al meglio il proprio dovere, perlomeno quando ciò comporta problemi di gestione, come quelli provocati dalle lamentele petulanti da parte di studenti inadempienti o di genitori eccessivamente premurosi. Sicuramente molti di questi dirigenti non sono in malafede, ma sembrano essere piuttosto vittime di un indottrinamento culturale di cui, in alcuni casi, sono addirittura feroci sostenitori. Altri presidi, invece, si scontrano con alcuni insegnanti soprattutto per comodità: spesso, infatti, il modo più semplice per risolvere i problemi è trovare il modo di imporre agli stessi insegnanti, che per ruolo sono subordinati a quello del dirigente, la condotta magari meno giusta, ma più conveniente per “tutti”.
Per tutti questi motivi non si può non dedurre che esistono scuole che non si pongono affatto come fine prioritario quello dell’istruzione, quanto piuttosto quello che coincide con la tutela della propria immagine istituzionale, nonché con la difesa degli interessi della dirigenza che ne coordina e ne organizza le attività.
Il testo che hai appena letto è tratto dall’archivio immaginario di una scuola invisibile ma ricca di storie interessanti.
Tutto cominciò così: “La genesi delle Memorie dal sottoscuola”