Insegnanti di tutta Italia, unitevi!
Uscite dall’ombra e riempite i cortili desolati, non siete più soli nei vostri istituti!
Adunate i colleghi ormai increduli, lasciate le file più stanche dei vostri collegi!
La scuola delle novità a tutti i costi, la scuola dei paroloni e dei pedagogisti, la scuola del sapere utile, la scuola dei mille progetti e del successo garantito non funziona e non funzionerà mai.
Essa danneggia prima di tutto i bambini e i ragazzi!
I. Il compito prioritario: trasmettere le conoscenze
Noi pensiamo che la scuola abbia il compito prioritario di trasmettere da una generazione all’altra il patrimonio di conoscenze su cui è fondata la nostra civiltà. Milioni di biblioteche, miliardi di archivi, trilioni di opere e monumenti dell’ingegno umano non serviranno affatto a salvarci dall’abisso quando nessuno sarà più in grado di leggere e comprendere i testi, di orientarsi tra le formule, di capire la bellezza e l’armonia, di distinguere la verità dalla menzogna.
II. Andare oltre senza cancellare il passato
Solo chi non conosce la storia umana può sperare che le nostre conquiste siano definitive, che il progresso si faccia da sé come per magia o grazie alla tecnica. Non esistono società e individui che possano aspirare ad andare oltre ciò che il passato ha consegnato loro se quel passato è ignoto o incomprensibile.
Per questo rifiutiamo alcune moderne teorie didattiche che liquidano con astio, ma senza sufficienti ragioni, tutti i metodi della scuola tradizionale.
III. Preparazione, non indottrinamento
La scuola che istruisce educando ed educa istruendo è quella che prepara meglio ad affrontare la complessità crescente della nostra società e che garantisce la libertà di pensiero. Questo genere di preparazione serve tanto all’uomo comune quanto alla classe dirigente: agli scienziati, ai tecnici, agli insegnanti, ai commercianti, agli imprenditori, agli artigiani, agli artisti, agli operai.
Rifiutiamo dunque una scuola votata all’indottrinamento, alla formazione di meri esecutori e di passivi gregari, incapaci di pensiero critico.
IV. Il senso dell’istruzione
Che cosa è mai l’istruzione? Il sapere umano è unitario. Nel tempo si è articolato in molteplici discipline. Ogni disciplina studia la realtà sotto un particolare rispetto. Questo studio offre conoscenze preziose in se stesse e, insieme, educa al rigore e al metodo propri di ciascuna disciplina.
Impartire un’istruzione significa agire in modo potente sull’organizzazione del pensiero del discente, che apprende ad osservare e a capire la realtà esterna e quella interiore.
V. Una reale emancipazione
Tutti devono poter beneficiare di una scuola che offra un’istruzione fondata sul sapere. Il traguardo è una reale emancipazione dello studente dai vari tipi di soggezione culturale, che egli deve saper riconoscere e comprendere. La mera frequenza di un ciclo di studi, quali che essi siano, non può bastare. Non conta nulla che un paese vanti miriadi di laureati o diplomati; quel che conta è l’istruzione che essi hanno ricevuto.
VI. La relazione educativa
La pedagogia recente ha esaltato la «centralità dello studente», inteso come il protagonista assoluto del proprio processo di apprendimento. Noi difendiamo la viva relazione educativa affinché quel protagonismo non degeneri in solipsismo ed autodidattismo: l’allievo apprende triangolando col maestro e col sapere di cui questi è latore. La curiosità, l’interesse e la motivazione traggono alimento duraturo da rapporti umani autentici e profondi; non certo dal ricorso a banchi ad isola, ad aule digitali, ad intelligenze artificiali, robot o supercomputer.
La tanto sbandierata “centralità dello studente” non può essere realizzata ignorando al contempo la sua attiva responsabilità rispetto ai compiti ineludibili implicati in ogni percorso di apprendimento.
VII. Le basi dell’apprendimento
Chi non apprende a “leggere, scrivere e far di conto” con sufficiente sicurezza nei primissimi anni di scuola è privato degli elementi di base su cui si fondano tutti gli apprendimenti successivi. È indispensabile rimediare precocemente a queste mancanze con seri interventi correttivi e di recupero deponendo ogni pietistica e irrealistica speranza che le cose si risolvano da sole: infatti, nel tempo, lo svantaggio da colmare non potrà che crescere.
VIII. L’efficacia della lezione frontale
L’espressione “lezione frontale” negli ultimi anni ha assunto una connotazione fortemente negativa. Al contrario noi pensiamo che si tratti di una pratica antica e validissima, che coniuga la trasmissione e l’analisi delle conoscenze con il dialogo quale metodo fondativo della nostra civiltà. La “lezione frontale” continua ad avere una grande efficacia per tutti coloro che intendono la condivisione del sapere come il fine ultimo della scuola. La partecipazione ad una «lezione frontale» non è affatto un “atto passivo”, come non lo sono l’ascolto attento di una composizione musicale, di un dramma teatrale o l’esame di un dipinto.
Esistono altri modi di fare lezione? Certo. Questi modi integrano il senso fondamentale della “lezione frontale” e derivano dall’esperienza e dallo stile dei singoli insegnanti, dalla natura della disciplina insegnata, dal tipo di classe e di scuola.
IX. Competenze e conoscenze
Nella scuola degli ultimi decenni si è affermata una separazione fittizia tra “conoscenze” e “competenze” esplicitamente volta a sminuire le prime e a sopravvalutare le seconde.
Noi riteniamo che “conoscenze” e “competenze” siano due aspetti indissolubili e coessenziali di ogni forma di sapere e che il loro legame sia sempre stato riconosciuto da tutti i bravi insegnanti del passato.
Le autentiche competenze non si possono sviluppare se non in relazione alle conoscenze.
L’attuale insistenza sulle «competenze» è anche segno di un’inopportuna e precoce servitù della scuola rispetto al lavoro.
X. Astrazione e realtà
Molti avvertono il bisogno di abbattere un immaginario muro d’astrattezza ed inservibilità che isolerebbe la scuola dal resto della realtà, la quale a nostro avviso comprende anche i giudizi, le teorie, le idee e le opere con cui gli esseri umani cercano di spiegare, descrivere e governare il mondo.
La scuola non deve limitarsi ad assecondare le esigenze “del territorio” e della società, ma ha il compito specifico di fornire gli strumenti per comprenderli, ripensarli e modificarli.
XI. Metodologie, strumenti, fini
Le nuove celebrate metodologie didattiche possono anche sviluppare capacità relazionali, sociali, empatiche o comunicative; ma deve essere chiaro che spesso lo fanno a scapito della quantità e della qualità delle conoscenze da acquisire.
L’entusiasmo nei confronti della didattica digitale ci pare eccessivo, oltre che fondato sull’erronea convinzione che tutto ciò che è nuovo sia migliore di ciò che lo precede. Le metodologie e le tecnologie sono solo mezzi rispetto al fine dell’attività didattica e devono quindi rimanere al rango di accessori. Il loro uso non può in alcun modo essere imposto agli insegnanti, magari a partire da interessi esterni alla scuola.
XII. L’importanza dei voti
I voti servono. Servono agli studenti, che non sempre trovano in se stessi la giusta motivazione allo studio e che necessitano di riscontri costanti da parte degli insegnanti; servono ai docenti, che registrano ed attestano il livello di preparazione e i progressi degli studenti.
Chi teorizza l’eliminazione dei voti, propugnando l’idea di ingenerare negli studenti il piacere della conoscenza fine a se stessa, trascura un aspetto basilare dell’educazione: per i bambini e gli adolescenti la motivazione ad apprendere ha origine all’interno della relazione educativa prima che altrove; passa da quei particolari adulti, che impersonano il sapere. I loro voti non sono che uno dei molti riscontri che nutrono la motivazione dei discenti, spesso ancora incapaci di rapportarsi con il sapere senza mediazione affettiva.
Eliminare i riscontri dell’adulto educatore (i suoi voti o le sue correzioni) significa menomare la relazione educativa, e perciò piegare la scuola allo spontaneismo e all’autodidattismo.
XIII. Il valore dei compiti
I compiti servono. Sono un prolungamento dell’esercizio mentale richiesto durante le lezioni svolte e una preparazione a quelle successive. Permettono di capire meglio e di memorizzare.
Chi ne teorizza l’eliminazione è pericolosamente aggrappato a due idee erronee: che la quantità degli apprendimenti sia irrilevante; che la profondità e l’assimilazione delle conoscenze venga da sé, a prescindere dalla durata e dall’intensità dell’applicazione.
XIV. Aiutare con onestà
È necessario sostenere precocemente e in ogni modo lo studente che fatica ad apprendere, ma senza far carte false. Sostenere qualcuno non significa aggiustarne i voti ed occultarne lacune e difficoltà. Queste facili soluzioni sono ingiustizie scolastiche che illudono gli studenti (e le famiglie) riguardo alla loro preparazione, nuocciono agli equilibri interni alle classi, non correggono le ingiustizie sociali.
Le inattitudini personali – pur non essendo mai una colpa – esistono, e dunque vanno rilevate. Non è mai esistita alcuna felicità umana, personale o collettiva, fondata sulla menzogna.
XV. L’invisibile discriminazione
Gli insegnanti che rinunciano a chiedere serietà e profondità nello studio penalizzano anzitutto coloro che hanno pochi mezzi, pochi santi in paradiso, e possono contare solo sulle proprie forze e inclinazioni. Una scuola sciatta, impoverita dall’erosione perpetua delle ore dedicate alle singole discipline ad opera di progetti ed attività di dubbia utilità, non può che favorire i figli di coloro che, col denaro e le entrature, riusciranno comunque ad avere ciò che gli altri, privati di un’adeguata preparazione, non potranno mai raggiungere.
XVI. Il valore delle cose difficili
Coloro che, al fine d’abolire ogni tipo di selezione scolastica, citano a sproposito la nostra Costituzione (là dove parla della «rimozione degli ostacoli» che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana”), devono anch’essi tornare a studiare. Infatti gli ostacoli da rimuovere non sono affatto le intrinseche difficoltà di ogni disciplina, ma l’ignoranza, l’incapacità critica, la mancanza di metodo e di ordine mentale.
I tentativi di rimuovere questi ostacoli soggettivi spesso generano resistenze e pressioni di vario tipo che gli insegnanti devono saper affrontare con fermezza.
XVII. L’utilità del sapere inutile
Sosteniamo l’importanza dello studio teorico in vista del progresso pratico e il piacere di conoscere fine a se stesso. La scuola può e deve insegnare a tutti la bellezza di una poesia, di un’opera d’arte, di una teoria cosmologica o di una dottrina filosofica anche se non hanno un’utilità materiale immediata.
Il mondo del lavoro non si nutre esclusivamente di abilità pratiche, ma anche di astrazione, di inventiva, di sogno, di ricerca della felicità.
XVIII. Libertà e responsabilità del discente
Gli insegnanti e la scuola non sono onnipotenti. Il discente è libero e responsabile.
Urge disinnescare l’idea distruttiva secondo cui ogni insuccesso scolastico dipende dagli insegnanti. Capita che il discente non faccia tutto ciò che è necessario senza che ciò sia colpa di qualcun altro.
Rileviamo che “garantire il successo formativo” a individui liberi e responsabili è contraddittorio e irrealizzabile.
XIX. Il senso della bocciatura
La bocciatura, che non è né una punizione né un’attestazione di incapacità, è certamente la soluzione estrema, da adottare solo quanto siano state tentate tutte le altre vie per recuperare chi non raggiunge un livello di preparazione adeguato. Ciò nonostante è pur sempre una soluzione razionale: all’allievo viene infatti concesso altro tempo, a spese della collettività, per acquisire completamente ciò che gli serve.
Siamo ben disponibili a prendere in considerazione soluzioni alternative alla bocciatura, che tuttavia assolvano alla medesima funzione.
In conclusione
Non può esistere scuola che garantisca una società ideale. Ma la scuola in cui crediamo accresce senza dubbio la possibilità che ogni individuo, grazie ad una buona istruzione, sappia perseguire ragionevolmente il proprio bene, e insieme svolgere al meglio il proprio ruolo in seno alla collettività, con competenza, professionalità e metodo.
Le scuole che aspirano a preparare il cittadino perfetto, attraverso mille educazioni scorporate dalla conoscenza, falliscono, sia nella formazione dell’individuo come soggetto chiamato a compiere le scelte giuste per sé, sia nella formazione del lavoratore e del professionista all’interno del mondo economico.