Il parassitismo dell’ingegneria sociale

Non ha fine la lista delle educazioni a valori e principi cui, secondo alcuni, bisognerebbe educare gli alunni per migliorare la società: sempre sottraendo risorse al sapere.


Il sociologo britannico Frank Furedi (1947) riserva un’analisi spietata al modo in cui le istituzioni più diverse si sono insinuate nella scuola britannica per conquistarsi attenzione e promuovere politiche di ingegneria sociale sottraendo tempo e spazio allo studio delle discipline. Mi pare di grande utilità riportare alcuni brani tratti dal suo libro Fatica sprecata. Perché la scuola oggi non funziona, soprattutto in ragione del fatto che le logiche ivi descritte non sono molto diverse da quelle adottate anche in Italia, e producono gli stessi frutti amari. Leggiamo.

Valori creati per via politica e amministrativa non possono competere con l’efficacia dei principi tradizionali tramandati una generazione dopo l’altra. Come ha notato Habermas, la socializzazione per mezzo dell’ingegneria sociale ha l’effetto perverso di diminuire, anziché rafforzare, l’autorità morale. I valori costruiti in termini amministrativi sono privi di legami organici con un sistema di credenze e con un’esperienza condivisa. Sono per natura instabili, perché alimentano le obiezioni e lo scetticismo. La loro origine artificiale pone implicitamente l’interrogativo sul perché dovremmo preferirli a quelli caldeggiati da altri esperti […] Appena sono percepite come un atto amministrativo, perfino le tradizioni che erano riuscite a sopravvivere e restare influenti rischiano di essere minate alle fondamenta. Habermas cita la pianificazione dei programmi quale esempio del progetto di costruire oggettivamente una narrazione socializzante: «Mentre finora all’amministrazione scolastica bastava codificare un canone che si era formato spontaneamente, la pianificazione del curriculum si fonda sulla premessa che i modelli di tradizione potrebbero anche essere diversi». Una volta assunto un simile carattere arbitrario e contingente, i valori cessano di avere un significato intrinseco, diventando occasione di contestazioni e distinguo. A sua volta ciò porta, per citare ancora Habermas, a un’agitazione in campo culturale il cui equivalente nell’istruzione è il continuo armeggiare intorno ai programmi.

Negli ultimi due decenni, la scuola in Inghilterra è diventata un bersaglio per varie fazioni di politici, moralisti e organizzazioni, intenzionate a usare i programmi per promuovere i loro ideali e punti di vista. Come conseguenza, i già confusi rapporti tra pedagogia e politica si sono ancor più ingarbugliati. Per esempio nell’aprile 2007 la Commissione delle Pari opportunità ha spedito 40 pagine di indicazioni ai capi di istituto e alle autorità locali su come affrontare la discriminazione sessuale, tipico prodotto di una visione che considera i programmi soprattutto uno strumento politico per modificare i modi di pensare e di comportarsi. Secondo la Commissione, l’uguaglianza dei generi sessuali rappresenta per le scuole una fantastica occasione di sforzo coordinato, al fine di combattere la discriminazione e assicurare che tutti gli scolari possano realizzare in pieno il loro potenziale».

Queste istruzioni alle scuole su come colmare il divario di genere fanno a gara con le direttive su come insegnare agli scolari a essere più sensibili alle differenze culturali. Chiunque ha una nobile causa da difendere esige la sua porzione di programma. L’ex presidente nazionale dell’Associazione professionale degli insegnanti vuole che gli scolari «vengano istruiti sui pannolini e ha chiesto l’introduzione dell’insegnamento obbligatorio dell’essere buoni genitori nelle classi di alunni dai 14 ai 16 anni. Altri premono perché in classe i docenti dedichino più tempo alla sessualità, ai rapporti umani, ai cambiamenti climatici, alla corretta alimentazione, alla droga, all’omofobia e all’islamofobia.

I programmi scolastici sono diventati terreno di scontro per attivisti decisi a diffondere il loro messaggio. I burocrati della Sanità chiedono più ore in classe dedicate ai cibi genuini e all’obesità. Professionisti ossessionati dalla sessualità degli adolescenti chiedono che le scuole facciano ancora più educazione sessuale; altri vorrebbero che si desse più spazio alla storia dei popoli neri e degli omosessuali. In seguito a recenti polemiche sullo spettacolo di analfabetismo morale e culturale dato da un reality televisivo simile al Grande Fratello, molti hanno chiesto che la scuola impartisca lezioni di ‘britannicità’. Il governo non ha ancora annunciato di star lavorando all’inserimento del comportamento appropriato nei reality televisivi tra le materie di insegnamento – ma la caccia a nuovi temi esotici da aggiungere ai programmi è sempre aperta. All’inizio del 2007 l’ex segretario all’Istruzione Alan Johnson annunciò non solo di avere disposto l’insegnamento scolastico del riscaldamento globale, ma di aver reso obbligatorio nel programma di storia lo studio della complicità britannica nella tratta degli schiavi.

Per Johnson, il programma di storia, al pari di quello di geografia, andava subordinato al sostegno alla causa o al valore al momento centro dell’attenzione. Egli non era interessato alla tratta degli schiavi in quanto parte di una materia teorica con una propria coerenza e fisionomia; lo studio del commercio di esseri umani gli importava solo come mezzo con cui portare avanti la causa di una Gran Bretagna multiculturale. Lo scopo è fare in modo, spiegò difendendo la sua modifica del programma di storia, che i giovani comprendano cosa significa essere inglesi oggi. Pur essendo stato segretario all’Istruzione, Johnson non sembra essersi mai interessato all’istruzione in quanto tale. In compenso non ha lasciato in pace nemmeno l’educazione fisica, chiedendo con insistenza che nelle ore di ginnastica fosse sottolineata l’importanza di un modo di vita sano e spiegata la gravità del problema del sovrappeso. Cosi, dopo aver ricevuto istruzioni su quale e quanta frutta e verdura consumare, come diventare bravi genitori e come sentirsi terribilmente inglesi, gli alunni sono stati aggiornati anche su come e perché perdere peso. Peccato che a un programma deciso a trasformare gli scolari dalla testa ai piedi resti poco tempo per cose marginali come il coltivare il vero gusto della conoscenza.

In un periodo in cui hanno difficoltà a dare un senso alla loro professione, gli educatori cercano nuove cause da cui ricavare almeno l’apparenza della trasmissione dei valori. Doveva esser questa l’intenzione di Johnson quando nel febbraio 2007 annunciò che «abbiamo bisogno che la prossima generazione ragioni in modo diverso sul suo impatto sull’ambiente». Johnson giustificò il progetto, che mirava a modificare la prospettiva culturale dei bambini, appellandosi a un valore più alto: «Se riuscissimo a instillare nella prossima generazione una comprensione di come le nostre azioni possono ridurre o aggravare il riscaldamento globale, renderemo permanente una svolta culturale in grado, letteralmente, di salvare il mondo». Trafficare col programma di geografia sembra un prezzo ragionevole per fare comprendere agli alunni il cambiamento climatico e salvare il nostro pianeta, ma a volte dietro le vette della retorica si celano obiettivi più modesti.

Nick Clegg, il leader dei liberaldemocratici […] ha sostenuto che la scuola deve combattere l’omofobia e che gli ispettori dell’Ofsted dovrebbero controllare come i singoli istituti affrontano la questione. I sessuologi continuano a chiedere che il tempo dedicato all’educazione sessuale sia aumentato. Nel luglio 2008 il Gruppo indipendente di consulenza sulla salute sessuale e l’HIV ha osservato che gli alunni sono informati in misura insufficiente sul problema perché l’educazione sessuale non è una materia obbligatoria. Nello stesso mese un’associazione di pianificazione familiare ha sostenuto che bambini di appena quattro anni dovrebbero ricevere un’«educazione sessuale obbligatoria» adatta alla loro età e che l’insegnamento della sessualità e dei rapporti con gli altri dovrebbe avere lo stesso peso, nei programmi di studio, che hanno le classiche materie obbligatorie come l’inglese e l’aritmetica. L’insistenza sull’obbligatorietà è tipica delle inclinazioni autoritarie dell’ingegneria sociale. Per restare in argomento, la NSPCC (National Society for the Prevention of Cruelty to Children, Associazione nazionale per la prevenzione della crudeltà verso i bambini) ha auspicato che l’insegnamento delle emozioni diventi una parte obbligatoria dell’educazione sessuale. La leggerezza con cui la NSPCC passa dai suggerimenti all’obbligo spinge a chiedersi se quello che ha in mente non sia qualche genere di indottrinamento emotivo.

[…] Nel settembre 2008 il governo ha annunciato modifiche al programma nazionale in base al quale ragazzi di appena undici anni verranno istruiti su come essere dei bravi papà. Per esempio, sarà loro spiegato che chi abbandona i figli al loro destino rischia il processo e anche la prigione. Per quale motivo? Non certo perché la questione sia emersa durante le lezioni come problema pedagogico. Con ogni probabilità, l’idea di parlarne in classe è venuta a qualche politico angosciato dai ‘padri irresponsabili’ e deciso a ‘fare qualcosa’. Dopo di che, secondo una prassi ormai consolidata, è cominciata la ricerca dei necessari ritocchi al programma scolastico nazionale. Per analoghi motivi Janet Paraskeva, presidente della Child Maintenance and Enforcement Commission (Commissione per il mantenimento dei figli e l’applicazione della legge), ha dichiarato che «è necessario che ci sia qualcosa nel programma scolastico nazionale che renda coscienti i bambini che dovranno assumersi la responsabilità economica dei loro figli». La Paraskeva faceva sul serio, e perché non ci fossero dubbi al riguardo ha aggiunto che non pensava a un ritocco marginale del programma: «Vogliamo dare agli alunni, il più presto possibile, una buona comprensione degli obblighi economici collegati al diventare genitori».

Negli anni, i diversi governi hanno assunto l’atteggiamento dell’«è ora di fare qualcosa» a spese del programma scolastico, e il risultato è che oggi la scuola deve occuparsi, tra l’altro, di educare gli alunni riguardo all’alimentazione, ai rapporti umani, alla sessualità, alla droga, all’immigrazione, al fumo, all’esercizio fisico, alla partecipazione politica, all’ambiente e alla gestione dei risparmi. Quanto agli ispettori, attualmente devono controllare cosa fanno le scuole per il benessere degli alunni e con quale successo realizzano i programmi progettati dagli ingegneri sociali. Secondo una ricerca, «le scuole inglesi sono tra le più ispezionate del mondo».

Gli ingegneri sociali hanno sposato l’idea del cosiddetto ‘intervento precoce’, che nella lingua della gente comune significa cominciare a influenzare i bambini il più presto possibile. Da un simile punto di vista, provare a insegnare l’educazione sessuale ai bambini di quattro anni può apparire del tutto sensato. Ancora più di recente, l’ubbidienza ai dettami dell’intervento precoce ha spinto a concentrarsi sugli asili nido. Nel luglio 2008 l’Ufficio nazionale dell’infanzia ha pubblicato “Young Children and Racial Justice (Bambini piccoli e giustizia razziale)”, uno studio secondo il quale il personale degli asili «deve vigilare sui commenti razzisti tra bambini ai primi passi». Ed effettivamente lo scopo di questa guida di 336 pagine è cambiare il modo di guadare ai toddlers, i bambini che cominciano a camminare, sensibilizzando il personale dei nidi perché riconoscano gli indizi dell’inclinazione al razzismo. Un esempio: un bambino ai primi passi fa smorfie di disgusto davanti a cibi di «una tradizione culinaria diversa dalla sua». A quanto è dato capire, il problema è che il rifiuto dei cibi stranieri può essere indicativo di una tendenza a rifiutare le persone che quei cibi consumano normalmente.

tratto da: Frank Furedi, Fatica sprecata. Perché la scuola oggi non funziona. Vita e Pensiero, Milano, 2012, pp. 152-158.

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