Il problema della strategia
Per superare la crisi della conoscenza nella scuola occorre conoscere la storia della scuola e gli errori della pedagogia.
La decadenza della scuola nasce da errori secolari che si sono diffusi ovunque così da diventare senso comune. Chi difenderebbe oggi l’apprendimento dai libri anziché dall’esperienza, la preparazione severa degli insegnanti, l’astrazione, l’imparare a memoria, l’accumulo delle nozioni, lo studio delle lingue morte? Tutto ciò che sa di conoscenza e di tradizione è considerato un’eredità sgradevole di epoche oscure, a cui i pedagogisti, a dispetto di questo suo presunto carattere residuale, imputano la colpa del presente disastro.
La devozione all’ignoranza consente loro di trascurare che la conoscenza è intimamente legata alla vita in generale, perché è l’insieme delle modalità in cui i viventi si strutturano e si rapportano all’ambiente, e che essa si tramanda perché è scritta nel genoma che struttura le specie e il loro comportamento. Prima che fossero inventate dall’uomo, la conoscenza e la scrittura erano impresse nell’essenza della vita.
La polemica pedagogica contro la conoscenza e la tradizione ignora anche che l’uomo si distacca da tutte le specie viventi perché è riuscito a elaborare un linguaggio in grado di diffondere alla generazione attuale e di conservare per le generazioni future le nuove conoscenze acquisite dagli individui. Il linguaggio umano non ha come funzione prioritaria la comunicazione, ma la conservazione delle conoscenze. La scrittura, per quanto invenzione recente, è la necessaria conseguenza di questa sua priorità – è la forma umana del genoma. Solo perché l’uomo ha elaborato un linguaggio e una scrittura che conservano la conoscenza acquisita dai singoli, la sua evoluzione non è soltanto quella lentissima della biologia, ma quella rapida della storia.
Per questa differenza dell’uomo dalla natura, la scuola non ha il compito primario di sviluppare la dotazione istintuale del bambino, né quello di adattarlo alla società, tanto meno quello di trasformare la società; le spetta invece lo scopo di consentire la lettura della tradizione scientifica e culturale, in modo che le generazioni successive non debbano iniziare da capo, ma dai risultati della precedente. E insegnando alla generazione successiva la lettura dei risultati della tradizione, la scuola svolge un secondo compito indispensabile: essa conserva la tradizione.
Il disprezzo della lingua, il rifiuto dei libri (“Odio i libri” – scrive Rousseau) sono dunque disprezzo dell’eccellenza umana e portano necessariamente, con il rifiuto della conoscenza teorica, la mortificazione della scuola e il regresso della civiltà.
Noi pensiamo che la scuola sia distrutta proprio da quando ne è sparito l’orientamento alla conoscenza teorica, alla ricerca disinteressata della verità. Siamo in pochi a pensarlo. Poiché non possiamo poggiare sul consensus omnium, il nostro sforzo per ripristinare la scuola deve avere la realtà dalla sua parte. Per questo dobbiamo ricorrere alla storia e alla filosofia. La conoscenza esatta dei fatti storici ci consente di non farci ingannare dai pregiudizi di cui non solo i disinformati, ma gli stessi pedagogisti sono propagatori e vittime; l’approfondimento filosofico sulla natura del linguaggio e della conoscenza ci consente di raggiungere una chiarezza maggiore di quella ingannevole della superficialità che li disprezza. Solo per mezzo di questo lavoro di approfondimento conoscitivo, a cui siamo tanto più tenuti in quanto sosteniamo la priorità dell’atteggiamento teoretico, potremo essere convincenti.