Il protagonismo di dirigenti e pedagogisti contro il protagonismo degli insegnanti

Nel mondo della scuola di oggi trasmettere il sapere è considerato da molti come un atto di superbo protagonismo da parte degli insegnanti.

In una scuola italiana, durante il collegio docenti, dopo che il DS ha fatto l’elogio delle nuove didattiche, è intervenuto un’insegnante a favore della lezione frontale, sottolineando come anche durante le lezioni frontali partecipate/dialogate gli studenti siano eccome attivi in classe, interagendo in modo proficuo con l’insegnante. La preside ha risposto così: “Grazie prof. per questo intervento, però anche in quel tipo di lezioni frontali l’insegnante rimane sempre il protagonista della lezione mentre nelle nuove didattiche sono gli studenti a diventare i veri protagonisti”. La domanda è: ma per quale motivo si ritiene necessariamente negativo il fatto che l’insegnante sia protagonista durante la lezione? Il problema è esattamente l’opposto, ovvero l’assenza di protagonismo professionale, intesa come menefreghismo, ignoranza, incuranza, superficialità e ipocrisia. Un insegnante che legge il giornale in classe, facendosi i cavoli suoi, non è di certo protagonista e non fa nemmeno la lezione frontale, ma non mi sembra un esempio virtuoso di didattica. L’argomento del protagonismo mi sembra, di fatto, il pretesto che gli incompetenti adducono per celare la propria incompetenza e per fingere di essere dei buoni docenti, quando in realtà sono soltanto delle capre irresponsabili, senza passione per lo studio e per la conoscenza, degli impostori che rubano soldi allo stato mascherandosi da insegnanti all’avanguardia. 

Al termine del collegio, ovviamente, diverse colleghe e alcuni colleghi si sono avvicinati all’insegnante che era intervenuta per complimentarsi con lei per il suo intervento e per il coraggio che secondo loro avrebbe dimostrato nell’affermare il valore della lezione frontale: come al solito, molti insegnanti si censurano e si auto-corrompono per avere privilegi, o per evitare di avere svantaggi di qualsiasi sorta, oppure anche solo per paura. E intanto i dirigenti scolastici si trasformano in piccoli tiranni che se ne approfittano e che sguazzano felicemente in questa vile omertà, tipica di un paese culturalmente mafioso come quello in cui viviamo. Un ottimo esempio di educazione civica da parte di chi, l’educazione civica, dovrebbe insegnarla. 

Per concludere con una battuta sulla critica nei confronti dei protagonismo dei docenti, immaginate se la stessa critica venisse indirizzata ad un medico soltanto perché utilizza le proprie conoscenze per curare i malati, oppure ad un ingegnere che, grazie alla propria preparazione e al proprio sapere, crea e realizza progetti dettagliati di strutture, macchinari o sistemi: in questi casi la ridicolaggine e l’assurdità di questo tipo di obiezione sarebbe lampante a chiunque. Nel mondo della scuola di oggi, invece, questo genere di critica, grazie anche a molti temerari pedagogisti, trova un crescente numero di consensi tra dirigenti scolastici e docenti che ripetono questa idea attraverso slogan consolidati che suonano come sciocche e infelici filastrocche di cui si farebbe volentieri a meno. A quanto pare la conoscenza è fondamentale quando si fa il medico e l’ingegnere, ma quando si è insegnanti, ovvero quando si riveste il ruolo di coloro che la conoscenza dovrebbero trasmetterla, la conoscenza non solo non è necessaria, ma è addirittura deleteria. A tutti gli effetti e sempre di più, si sta facendo passare come normale l’idea che la conoscenza vada bene soltanto al di fuori dell’istituzione scolastica; un’idea che, senza voler scadere nell’iperbolico, appare ormai come uno dei paradossi più inquietanti, abissali e drammatici della nostra epoca. 

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