Quando il sapere non scade

Mantenere una prospettiva storica su ciò che definiamo “patrimonio culturale” presenta grandi vantaggi che non sarebbe giusto liquidare solo in nome di ciò che accade in altri paesi


Il teologo francese Jean Danièlou (1905-1974) si è a lungo interrogato sul rapporto tra la verità e il trascorrere del tempo, con un’attenzione particolare al ruolo svolto dagli intellettuali nella società contemporanea. Riporto un passo tratto da La cultura tradita dagli intellettuali, testo pubblicato per la prima volta nel 1972:

È dunque ridicolo pensare che nello svolgersi della storia umana tutto sia alla mercé del cambiamento e che nel corso della storia niente resti permanente. Ancor oggi, se ci avviciniamo a Mozart o a El Greco sentiamo di toccare i vertici della qualità umana, che non hanno niente a che vedere con la differenza tra i mezzi che avevano a disposizione Mozart e El Greco e quelli che hanno i musicisti o i pittori nostri contemporanei. Per l’intelligenza e per la cultura sarebbe una perdita irrimediabile pensare che soltanto il moderno possa avere per noi un senso e un valore. Io direi che ciò è la negazione stessa della cultura, se è vero, come diceva Albert Thibaudet, che la cultura è memoria, cioè quello che permette a un’epoca di conservare presenti i frutti supremi dell’umanità del passato.

I sistemi sono il riflesso delle epoche e in ogni epoca successiva essi vengono considerati obsoleti e sostituiti da altri. Vi è invece una verità permanente di alcune cose che sono state dette: vi è una verità di Platone o di Aristotele, a fortiori vi è una verità di Gesù Cristo. Sono cose che non subiscono l’usura del tempo. Quello che invece la subisce è tutto ciò che è soltanto il riflesso di situazioni sociologiche. Ciò che è espressione della profondità dell’uomo, le opere che sono riuscite a esprimere qualcosa di quanto nell’uomo è essenziale, tutto ciò è valido nel 1972 quanto lo era allorché quest’essenziale fu espresso per la prima volta. Ancor oggi percepiamo l’incredibile genialità di quel pittore che in una grotta preistorica ha dipinto le figure che noi oggi ammiriamo. Quando un filosofo o un poeta raggiungono certe risonanze nelle quali ancor oggi percepiamo l’umano in ciò che ha di essenziale, non sono più alla mercé della storia. Misconoscere o negare queste cose è entrare in una crisi dell’intelligenza, in una specie di barbarie. La nostra civiltà non sarebbe più una cultura ma la negazione totale della cultura autentica”.

[tratto da: Jean Daniélou, La cultura tradita dagli intellettuali, Lindau, Torino, 2012, pp. 67-68]

  • Nell’immagine sopra: Jean Daniélou e Giorgio La Pira a Firenze nel 1953.

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