La pedagogia naturalistica e i suoi problemi

Un agile pamphlet di uno degli autori del Gessetto entra nel vivo dei problemi filosofici costantemente evitati o taciuti dai sostenitori della pedagogia naturalistica oggi caldeggiata un po’ ovunque

È sempre difficile andare alla radice delle idee dominanti che, con il trascorrere del tempo, si avvicendano sul palcoscenico della Storia. Questa difficoltà è in parte insuperabile, per la semplice evidenza che le idee che governano il mondo non nascono mai dal nulla, ma si sviluppano, mutano e si articolano nel tempo proprio come accade ai nostri stessi pensieri, consci ed inconsci, ponendo grandi difficoltà di analisi, ricostruzione ed interpretazione; in parte è una difficoltà colpevole, almeno quando il mondo della cultura – a vari livelli – pare rifiutare in modo sistematico quell’opera di analisi e di ricostruzione che rende possibile una Storia delle idee.

Parlo di colpevolezza anche nel caso delle idee che dominano il mondo della pedagogia – non solo italiana – e non tanto perché non esistano individui che se ne occupino (forse sono anche troppi) e ne scrivano; piuttosto perché il piano delle loro analisi è spesso superficiale, avulso dal dibattito culturale nella sua complessità e storicità. Troppi pedagogisti, presenti anche nei piani di formazione delle scuole, paiono inclini a promuovere i cambiamenti millantandone l’opportunità scientifica, ma senza indagarne davvero i presupposti razionali e filosofici. Sennonché, ad uno sguardo appena più attento, che esca dalla soffocante autoreferenzialità del mondo pedagogico, certe analisi e certe proposte si rivelano presto rimasticamenti di idee e pratiche note da un pezzo: note anche per la loro comprovata infruttuosità, se non per la loro perniciosità.

Poiché pochissime persone sono interessate alla comprensione delle attuali traversie scolastiche attraverso lo studio delle continuità interne alla Storia delle idee, desta stupore l’incontro di studiosi capaci di smascherare le supposte novità pedagogiche e didattiche, risalendo alle loro origini storiche, palesandone i limiti ideologici e i difetti congeniti, indicandone le conseguenze disastrose là dove esse sono state introdotte.

È questo il caso di Paolo Di Remigio, autore – tra le altre cose – di un breve pamphlet di una sessantina di pagine, intitolato La pedagogia naturalistica e i suoi problemi (editore Petit Plaisance, Pistoia, 2024, euro 10) che va dritto al cuore di ciò che accomuna le teorie pedagogiche che oggi accerchiano la scuola, e cioè di quel naturalismo che fa dell’esperienza diretta del discente una sorta di passe-partout, nella pervicace illusione che il protagonismo assoluto del bambino o del giovane possa scalzare la conoscenza teorica senza fare danni gravissimi.

Di questo acuto libello non posso che consigliare la lettura, non tanto per la chiarezza e la brevità, ma soprattutto per la rara capacità del suo autore di sviluppare il proprio ragionamento sul cosiddetto puerocentrismo a partire dal pensiero di Rousseau fino ad arrivare ai disastri scolastici statunitensi, senza lesinare osservazioni stringenti sul rifiuto del lavoro scolastico in Dewey, sugli equivoci del costruttivismo pedagogico, sulla pretesa di costruire capacità cognitive a partire dall’ignoranza e su come queste idee trasformino le differenze di classe sociale tra gli studenti in differenze di casta.

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