La polemica sulla valutazione

I pedagogisti non comprendono che la valutazione descrittiva è contenuta nella correzione degli elaborati, ignorano per ideologia ugualitaria l’utilità didattica del voto e negano agli altri docenti di fare ciò che essi stessi fanno.

Nel novembre 2022 «Tecnica della Scuola» ha diffuso in rete un’intervista del prof. Palermo al prof. Corsini, reduce da una recente fatica letteraria sulla valutazione scolastica. Il principio ispiratore del colloquio è compendiato in una scritta che scorre incessante sotto le immagini: VOTO NUMERICO CONTRO VALUTAZIONE FORMATIVA E DESCRITTIVA: PER LA PEDAGOGIA È UNA PARTITA PERSA. Nessuna formula potrebbe meglio rivelare i pregiudizi di una pedagogia che non solo ignora lo stato in cui le sue iniziative hanno ridotto la scuola, ma applica ancora una volta il solito schema della falsa antitesi, tratta cioè i congiunti come incompatibili, così da esigere una scelta tra due elementi della valutazione formativa che invece vanno sempre insieme perché hanno stretto bisogno l’uno dell’altro.

L’intervista del novembre 2022 al prof. Corsini sul canale YouTube di Tecnica della Scuola

1) Poiché nella nostra scuola si fa uso quasi esclusivo di prove aperte (quelle in cui l’alunno elabora un testo), da noi non può esserci nessun contrasto tra voto numerico e valutazione descrittiva: la valutazione sintetica (numero, lettera, aggettivo) è sempre frutto di una precedente valutazione descrittiva. Mai gli insegnanti italiani hanno dato solo il voto; sempre lo hanno dato sulla base di una correzione, a cui, a scopo formativo, hanno quasi sempre aggiunto un’ulteriore descrizione analitica. La valutazione descrittiva, di cui i due interlocutori discettano come di un fenomeno arcano, è semplicemente la correzione accurata. La quale, infatti, non consiste soltanto nell’inesorabilità del segnalare gli errori, come teme il sentimentalismo pedagogico, ma comprende la generosità di riportare le correzioni, quella di suggerire modi di espressione alternativi, quella di commentare e magari di lodare. Insomma i due esperti della scuola, forse fuorviati dalla prassi della valutazione universitaria, che ha natura sommativa, dimenticano il fatto sesquipedale che gli insegnanti sono tenuti a correggere le prove dei loro alunni prima di assegnare il voto, e trascurano che nella correzione è contenuta tutta la valutazione descrittiva che essi desiderano. Poiché inoltre la correzione non è solo una scelta, ma è uno degli adempimenti propri della professione, ritenere che da qualche parte ci siano degli insegnanti favorevoli alla valutazione sintetica e contrari alla valutazione formativa e descrittiva, equivale ad accusarli di valutare senza correggere, equivale cioè a imputare loro un illecito, e, in mancanza di prove, a calunniarli. Ma bisogna rassegnarsi: accusare gli insegnanti di ogni nefandezza fa parte del giuramento per accedere alla professione pedagogica.

Come mai i due interlocutori prendano questo enorme granchio, lo spiega la menzione di una ricerca anglosassone da cui risulta l’efficacia didattica della valutazione formativa e descrittiva. Al prof. Corsini, autore della menzione, è forse sfuggito che una ricerca empirica sull’opportunità di una valutazione descrittiva e formativa ha certamente senso in America, dove si fa uso quasi esclusivo di test a risposta chiusa, che implicano la meccanicità della correzione e della valutazione; ma è priva di senso qui in Italia, dove il test a risposta chiusa è l’eccezione, mentre la prova prestazionale è la regola. Menzionare in Italia una ricerca americana sul vantaggio della valutazione descrittiva è come portare vasi a Samo. Insomma il primo punto è questo: poiché nella scuola italiana si è sempre fatto uso di prove prestazionali (svolgimenti di temi, problemi, questionari a risposte aperte, riassunti, relazioni…), poiché queste devono essere a volte addirittura riscritte dall’insegnante prima di essere valutate, allora da noi c’è sempre stata, insieme alla valutazione sintetica, quella descrittiva. La polemica dei due esperti è superflua e, in quanto pone in cattiva luce gli insegnanti, inopportuna. E che sia tale, lo confessa all’inizio dell’intervista lo stesso prof. Corsini, quando racconta della sua visita pastorale nelle scuole, che gli ha consentito di appurare che degli insegnanti, fuorviati da altri pedagogisti, praticavano proprio la valutazione come piace a lui – per adeguarsi, è bastato loro eliminare il voto sintetico dalla prassi normale.

2) Finora i due interlocutori hanno parlato dell’efficacia didattica della valutazione formativa e descrittiva. Propriamente hanno sfondato una porta spalancata, perché essa è la prassi normale per gli insegnanti italiani. Inconsapevoli di questo errore, ne commettono un altro ancora più grave: credono che la loro semplice affermazione della efficacia didattica della valutazione formativa e descrittiva sia qualcosa di completamente diverso, sia cioè la dimostrazione della nocività del voto nella valutazione formativa, che in realtà non hanno neanche sfiorato. Si arriva addirittura all’enormità di condannarla come un atto anticostituzionale. Eppure la nocività dei voti è tutt’altro che dimostrata. Anzi, contestati insieme al resto dall’ideologia ugualitaria degli anni Sessanta e Settanta, la ricerca empirica statunitense, che si è occupata a fondo del problema dei voti, ha acclarato in modo definitivo che essi migliorano l’apprendimento[1]. Interesse personale e interesse esterno al voto non sono affatto incompatibili e l’apprendimento migliore si verifica in presenza di entrambi gli interessi. Le preclusioni ideologiche del prof. Corsini, che manifesta senza remore una ferrea fedeltà all’idea di uguaglianza dei risultati dopo che essa ha dato origine a terribili fenomeni storici, non solo sono inopportune in un docente, ma sono falsificate dalla ricerca scientifica.

3) Poi i due interlocutori vengono a parlare in modo distorto delle distorsioni valutative. Esse ci sono, la ricerca scientifica ha acclarato che spesso sono enormi, ma risultano veramente rilevanti non nel contesto della valutazione formativa, di cui i due parlano, ma in quello della valutazione sommativa. In ogni caso, contro le distorsioni valutative occorre non rinunciare al voto (non lo si può fare senza danno per l’apprendimento), ma combinare le prove prestazionali, la cui correzione è sensibile alla particolarità di chi corregge, con le prove standardizzate, la cui correzione è meccanica.

4) Da ultimo riemerge il vecchio disprezzo neoidealistico per i numeri e si scivola nel romanticismo dell’incommensurabilità degli individui. Perché i due interlocutori prendono un atteggiamento così antiscientifico? La spiegazione è semplice. La polemica più che secolare contro la valutazione è, per la pedagogia, una questione di sopravvivenza. Poiché secondo il suo primo articolo di fede l’istruzione è uno sviluppo spontaneo della mente del bambino, che l’insegnante deve assecondare con la massima discrezione, essa presente che nella scuola riformata secondo le sue predilezioni l’alunno non impari proprio nulla, quindi cerca di prevenire l’accusa che le sue riforme promuovano l’ignoranza sottraendo alla scuola lo strumento per rilevarla. La pedagogia si preoccupa della propria ansia, non di quella del bambino.

Che tutto il colloquio, con le sue ingenerose allusioni contro gli insegnanti, soffra di un rapporto instabile con la realtà, lo attesta la sua conclusione. In modo alquanto incauto, che tradisce un non sopito impulso selettivo gentiliano, il prof. Palermo chiede al prof. Corsini se all’esame boccerebbe uno studente che ripetesse le dichiarazioni di un ex ministro che i due interlocutori hanno appena finito di dileggiare. Un po’ imbarazzato dall’involontaria confessione che all’università i pedagogisti usano uno strumento che rinfacciano agli altri docenti di usare, il prof. Corsini risponde che lo boccerebbe, certo (valutazione sintetica), ma prima gli spiegherebbe cosa debba fare per passare l’esame all’appello successivo (valutazione formativa e descrittiva). Che è, in sostanza, quello che i detestatissimi insegnanti hanno sempre fatto.


[1] Cfr. Melville and Stamm, «The Pass-Fail System and the Change in the Accounting of Grades on Comprehensive Examinations at Knox College». Delohery and McLaughlin, «Pass-Fail Grading». Gold «Academic Achievement Declines Under Pass-Fail Grading». Quann, «Pass-Fail Grading – An Unsuccess Story», Suddick and Kelly, «Effects of Transition from Pass/No Credit to Traditional Letter Grade System».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *