La scuola che non discrimina, discrimina i più deboli.

La parola “discriminare” deriva dal latino e significa “separare“, “distinguere“. Non a caso la parola “discrimen“,…

La parola “discriminare” deriva dal latino e significa “separare“, “distinguere“. Non a caso la parola “discrimen“, sempre in latino, indica ciò che separa e distingue, come una linea di confine o una differenza. “Discrimen“, però, si riferisce anche ad un punto di svolta, ad un momento delicato e rischioso in cui si rende necessaria una decisione importante per evitare conseguenze negative. Dal participio passato del verbo “cretus“, infatti, derivano anche termini come “criterio” che è propriamente lo strumento che viene utilizzato per distinguere e per scegliere.

Assumendo la prospettiva etimologica implicata da questo termine e applicandola al contesto scolastico, dunque, l’atto del discriminare non risulta soltanto giustificato, ma addirittura doveroso. Certo, discriminare può diventare sbagliato quando il criterio che si assume per operare una certa discriminazione è improprio e fuori luogo. Per esempio discriminare in base al colore della pelle è idiota, oltre che razzista, ma discriminare in base al merito è un dovere non solo di ogni insegnante e di ogni scuola, ma anche di ogni azienda, fabbrica e, più in generale, di ogni contesto professionale serio e onesto.

La triste realtà che emerge osservando il mondo della scuola di oggi, purtroppo, ci dice che oggi si discrimina, nel senso positivo del termine, sempre di meno. Infatti tutti (o quasi) gli studenti vengono promossi, siano essi meritevoli oppure no. Le promozioni vengono regalate esattamente come le sufficienze. Il problema è che, quando la scuola smette di selezionare, di scegliere e di giudicare, di fatto, sta delegando il contesto socio-economico-relazionale ad operare quella discriminazione che dovrebbe competere proprio all’istituzione scolastica, favorendo indirettamente, in questo modo, quegli studenti che appartengono a famiglie con più risorse economiche e con conoscenze relazionali più influenti. La scuola che non discrimina e che non seleziona, dunque, sta creando un danno soprattutto agli studenti più fragili, più economicamente svantaggiati e più socialmente sfortunati, discriminando, in questo caso nel senso deteriore del termine, proprio e soprattutto i più deboli.

Indossando la maschera del buonismo, insomma, la scuola di oggi non solo non è più all’altezza del proprio compito principale, che è propriamente quello di istruire, ma sta abbandonando a loro stessi proprio quegli studenti che vorrebbe proteggere, aiutare e salvare attraverso quell’insopportabile retorica da crocerossina e attraverso quella finta inclusione che, in realtà, allontana e addirittura esclude propri i più bisognosi da quella possibilità di riscatto sociale che, invece, dovrebbe loro fornire e garantire.

Un commento

  1. Se l’insegnante non discrimina ciò che è ben fatto da ciò che non è ben fatto e promuove tutto e tutti, chi non ha fatto bene crede di aver fatto bene e non affronta il lavoro necessario a fare bene, tanto da entrare nella vita illuso e impreparato.
    Due sono cioè le conseguenze della compassione ed entrambe gravissime: 1) essa non rileva il difetto di comprensione dell’alunno e quindi non gli mette rimedio; 2) illude l’alunno e gli impedisce di orientarsi correttamente.

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