La scuola non serve a niente?

L’articolo analizza il ruolo cruciale della scuola e le sfide che il sistema scolastico deve affrontare in ambito europeo; evidenzia le contraddizioni profonde che sono emerse in questi anni di cambiamenti epocali.

Alberto Moravia diceva che la scuola non serve a niente. Servono le elementari per imparare a leggere, scrivere e far di conto. Serve l’università per prepararsi al mondo del lavoro. Le medie e le superiori sono un semplice parcheggio. In realtà, da oltre vent’anni si è attribuita alla scuola una missione cruciale per il futuro dell’Europa: il sistema scolastico dovrebbe centrare un obiettivo fondamentale, che i leader politici e le classi dirigenti hanno clamorosamente mancato: rendere l’economia europea più competitiva nello scenario globale. Tutto nacque dalla strategia di Lisbona del 2000, che fissava il traguardo di creare in Europa un’economia più dinamica e competitiva, basata sulla conoscenza1. Così, nell’insegnamento è divenuto centrale il tema del lifelong learning e delle competenze, a discapito dei contenuti2. In breve, la scuola non deve più trasmettere conoscenze, ma consentire agli alunni di sviluppare competenze utili nel mondo del lavoro. In un’epoca di rapide e profonde trasformazioni come la nostra, la scuola deve fornire ai discenti gli strumenti e i metodi che permettano loro di formarsi lungo tutto l’arco dell’esistenza. Appare subito evidente il limite di una tale impostazione: sottomettere il sistema formativo alle esigenze della competizione economica globale, piuttosto che renderlo funzionale alla crescita della persona e allo sviluppo di un adeguato spirito critico verso la complessità del presente. Negli anni della più grave crisi economico-finanziaria che ha investito l’Occidente, in particolare l’Europa, dai tempi della Grande Depressione3; nell’epoca in cui, dopo il crollo del muro di Berlino e la fine della Guerra fredda, il blocco occidentale si è frantumato, evidenziando tutta una serie di contrasti e rivalità fra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America4; nell’epoca in cui si sono affermate nuove potenze economiche con le quali competere, ed altre stanno emergendo… ebbene, in un’epoca così complessa come la nostra una tale impresa – lasciata gravare sulle spalle del sistema scolastico – è a dir poco titanica se non utopistica.

In verità, la crisi della scuola ha origini lontane. La scuola pre-Sessantotto era quella della ricostruzione. Era la scuola che ha consentito a tanti figli di operai e contadini di conseguire un titolo di studio e diventare insegnanti, medici, avvocati, ingegneri… La scuola che ha permesso a molti figli di operai e contadini di migliorare la propria condizione, accedendo alle professioni intellettuali. Ma già all’inizio degli anni Settanta l’aria era cambiata. Il titolo di studio non era più tanto un mezzo di riscatto economico e sociale. Il numero di laureati e diplomati che restavano a spasso aumentava.

Iniziava una crisi epocale per l’Italia e l’intero Occidente, di cui è figlia la crisi economica del nostro tempo5. In un tale contesto di profonda trasformazione – che ha investito la sfera economico-sociale ma soprattutto quella di carattere etico-morale, determinando una serie di cambiamenti radicali nei rapporti umani e nei valori che li regolano – la battaglia che si combatte oggi sul campo della scuola non può che essere di retroguardia. Da una parte, gli accordi internazionali attribuiscono alla scuola una missione a dir poco epica: guidare gli studenti verso lo sviluppo di quelle competenze che consentiranno loro di inserirsi nel mondo del lavoro. Un’impresa epica quanto velleitaria: la scuola dovrebbe combattere con mezzi inadeguati e inefficaci la piaga della disoccupazione giovanile? Dovrebbe sopperire a decenni di cattiva politica e decisioni sbagliate? Dovrebbe arrestare l’esodo delle multinazionali che da anni fuggono dall’Italia e dall’Occidente verso i paesi cosiddetti low cost?

Al tempo stesso, però, la scuola è oggi forse l’ultimo baluardo dell’accoglienza e dell’inclusione. La scuola deve essere accogliente, inclusiva, e deve porre l’alunno al centro dell’azione didattica. Questo chiede il legislatore. È una contraddizione piuttosto difficile da superare. A meno di spiegare ai ragazzi come stanno le cose. Basta dir loro che da una parte c’è la scuola: accogliente, inclusiva, orientata ai bisogni di ogni singolo alunno… dall’altra c’è il mondo reale. Ecco, basta dir loro che il mondo reale – quello che richiede le famose competenze che il sistema scolastico dovrebbe aiutarli a sviluppare – non c’entra niente con la realtà edulcorata che la scuola oggi propone.

C’è poi un aspetto che l’enfasi posta sulle competenze ha ultimamente rischiato di trascurare: quello della conoscenza. La scuola e la conoscenza, talvolta, sembrano due mondi incompatibili. D’altra parte, i sogni dei ragazzi, gli stimoli che essi ricevono dai modelli con cui da anni li bombardano i media, com’è noto, sono distanti anni luce dal percorso di crescita e formazione che la scuola continua a proporre. Un percorso che necessariamente ha i suoi tempi e i suoi metodi. Un percorso incentrato su modelli di crescita culturale e umana che non possono competere con gli altri che si sono imposti nelle società occidentali. Per intenderci, nonostante tutti gli sforzi che la scuola oggi compie per venire incontro ai bisogni formativi degli alunni, agli stili di apprendimento dei nativi digitali (si pensi alla rilevanza data alle nuove tecnologie); nonostante la scuola oggi faccia i salti mortali per migliorare il suo “appeal”, potrà mai riuscire a convincere un adolescente del nostro tempo che diventare ragioniere è più cool che partecipare a un talent show? Ecco, è una sfida persa in partenza. A meno di snaturare la funzione della scuola. A meno di trasformarla in una sorta di talent della conoscenza e della cultura. In una scuola del genere, diverrebbe centrale lo sviluppo del pensiero creativo. Scrive in proposito Murray Gell-Mann: «De Bono e molti altri hanno messo a punto particolari metodi per l’insegnamento di abilità di pensiero in corsi speciali per le scuole, per aziende e per gruppi più o meno eterogenei di persone. Alcune di tali abilità sono connesse alla produzione di idee creative»6. Ora, nella scuola che cosa si fa per sviluppare il pensiero creativo? Sarebbe quanto mai utile una didattica orientata al problem solving. Le formule matematiche, le regole grammaticali, le dottrine dei filosofi, gli eventi storici non sono poesie da mandare giù a memoria. Per quanto riguarda l’insegnamento della matematica, in particolare, non serve riempire la lavagna di formule. È senz’altro più utile ed efficace per l’apprendimento, sfidare gli alunni a risolvere un problema concreto, e poi guidarli alla “scoperta” della formula generale, che permetterà loro di risolvere problemi analoghi. All’inizio magari saranno un po’ spiazzati. Sono abituati alle formule calate dall’alto piuttosto che a tentare di scoprire da soli la teoria illustrata dal libro di testo, ripercorrendo le fasi del pensiero creativo che l’ha formulata. Credo che la sostanza non cambi per discipline come storia, filosofia, lingua e letteratura… Gli alunni sono abituati a memorizzare un elenco di date, battaglie, regole, dottrine piuttosto che inquadrare i problemi storici, filosofici, grammaticali… e sforzarsi di trovare in maniera autonoma una soluzione. Una tecnica molto efficace sarebbe quella del brainstorming, ma quanti insegnanti la conoscono e la utilizzano?

In ogni caso la scuola, dobbiamo riconoscerlo, continua a svolgere il suo ruolo, che è anzitutto sociale. Lo è sempre stato. La scuola, nonostante tutto, rimane forse l’unico luogo in cui, almeno idealmente, tutti i cittadini sono messi sullo stesso piano. Tutti hanno la possibilità di affacciarsi al mondo della conoscenza, e imboccare una strada che potrà condurli verso la realizzazione professionale e umana. A meno che non si smarriscano lungo tale percorso, a meno che non ne imbocchino altre. Intendiamoci, quella indicata dalla scuola non è l’unica percorribile. Ma è l’unica strada accessibile a tutti. Forse non è la più comoda. Sicuramente non è la più veloce. Ma vale la pena percorrerla sino in fondo. Se non altro resterà il ricordo di un’esperienza unica, nel corso dell’esistenza. Un tempo, il figlio del bracciante o dell’operaio la condivideva con quello dell’avvocato, dell’ingegnere o del farmacista. Oggi, il figlio di occidentali la condivide con i figli degli immigrati. La scuola ha offerto, dopo il secondo conflitto mondiale, a molti occidentali figli di operai, artigiani e contadini la possibilità di accedere al mondo del lavoro intellettuale. Oggi questa funzione è meno evidente per i nostri ragazzi, ma è ancora preziosa per molti alunni provenienti da altre aree del pianeta, in fuga dalla miseria e dalla disperazione.

Fonte:
Critica Liberale – nonmollare n. 151, 2024
https://www.academia.edu/124204391/La_scuola_non_serve_a_niente

Pasquale Giannino è uno scrittore e ingegnere con esperienze in ambito ricerca e sviluppo e di insegnamento. Nato a Cosenza nel 1972, vive da anni a Cassina de’ Pecchi, nel milanese. Decine di suoi racconti e articoli sono apparsi su blog letterari e riviste. Ha pubblicato di narrativa Banda, che passione! (Milano, 2003), Ritorno al sud (Armando Curcio, 2011), Il mondo in una soffitta (Wattpad, 2023) ed Energia (Wattpad, 2024); i saggi Dio gioca a dadi? (MicroMega – Il Rasoio di Occam, 3 febbraio 2020), Il problema dell’esistenza di Dio (MicroMega – Il Rasoio di Occam, 9 marzo 2023), Il problema degli eterni di Emanuele Severino (Academia.edu, 18 dicembre 2023). Ha collaborato con le riviste Calabria Sconosciuta, MicroMega e Critica Liberale.

1 M. Decaro (a cura di), 2011, DALLA STRATEGIA DI LISBONA A EUROPA 2020, Fondazione Adriano Olivetti, https://www.fondazioneadrianolivetti.it/wp-content/uploads/2021/03/Strategia-di-Lisbona.pdf

2 Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, EUR-Lex – L’accesso al diritto dell’unione europea, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32006H0962

3 N. Ferguson, Occidente Ascesa e crisi di una civiltà, tr. it. Mondadori, Milano 2017, p. 296.

4 T. Todorov, L’identità europea, tr. it. Garzanti, Milano 2019, p. 67.

5 E. J. Hobsbawm, Il secolo breve, tr. it. BUR, Milano 2014, p. 473.

6 M. Gell-Mann, Il quark e il giaguaro Avventura nel semplice e nel complesso, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2000, p. 306.

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