L’attività e i progetti sono il miglior modo per imparare? No.
Non è che i progetti o le attività non insegnino nulla, ma non insegnano quello che è prioritario: cioè le conoscenze fondamentali su cui costruire tutto il resto

La ricercatrice Daisy Christodoulou, nominata nel 2017 una delle venti figure più influenti dell’istruzione britannica, contesta la priorità da molti attribuita in ambito didattico alle competenze ed alle conoscenze procedurali a scapito delle conoscenze teoriche. Nel suo libro Seven myths about education Christodoulou analizza e smantella in modo sistematico una serie di assunti propri della pedagogia contemporanea presentando argomenti reali e convincenti.
Nel capitolo VI si concentra sul mito secondo cui tenere impegnati gli alunni in attività (secondo il canone tipicamente deweyano) e proporre loro i progetti più vari porterebbe benefici ignoti all’istruzione diretta, cioè quella praticata tramite le lezioni dialogate centrate sul ruolo dell’insegnante. Leggiamone un passo nella traduzione di Oreste Rintallo; non sarà difficile scorgere, nelle spiegazioni della Christodoulou, la sconsolante ovvietà delle osservazioni a cui si deve piegare chiunque voglia entrare nel merito di molte montanti pratiche didattiche.
Questi tipi di attività sono particolarmente dispendiosi perché spingono gli alunni a pensare attorno a cose sbagliate. Come abbiamo visto, assimilare conoscenze nella memoria a lungo termine è vitale. È così vitale che Kirschner e colleghi si sono spinti a dire che “lo scopo di tutta l’istruzione è modificare la memoria a lungo termine”. Assodato questo, quindi, è molto importante che gli alunni ricordino il più possibile ciò che vogliamo insegnare loro. Fortunatamente, il modo più efficace per ricordare qualcosa è pensarci. Il cervello dà per presupposto che ogni cosa per la quale si debba pensare parecchio dev’essere importante, quindi vale la pena impegnarvi la memoria a lungo termine. Secondo le parole di Dan Willingham, “la memoria è il residuo del pensiero”. Questo ha un senso, ed è anche una bella intuizione perché significa che se passiamo un sacco di tempo in classe facendo in modo che gli alunni pensino a ciò che vogliamo che imparino, rendiamo più facile per loro impegnare tali informazioni nella memoria a lungo termine. Quindi dobbiamo assicurarci, nelle nostre lezioni e nelle attività che programmiamo, che gli alunni pensino alle cose giuste. Un esempio di come non farlo è dato da Dan Willingham. Sostiene che in una lezione di storia sulla “ferrovia sotterranea” (la rete di sentieri e nascondigli usata dagli schiavi neri durante la guerra di secessione americana), un insegnante ha fatto cuocere biscotti agli alunni, perché era quello che mangiavano gli schiavi sulla “ferrovia sotterranea”. Per la maggior parte di questa lezione, la classe sarà dedita a pensare al processo di cottura dei biscotti – misurare gli ingredienti, accendere il forno, seguire la ricetta. Quindi questo è un pessimo modo per far loro comprendere cosa fosse la “ferrovia sotterranea”, in quanto in realtà non spenderanno la maggior parte della lezione a pensarci. A causa dell’importanza della memoria a lungo termine, Willingham arriva fino a dire che “l’idea più generale e utile che la psicologia cognitiva possa offrire agli insegnanti” è quella di “rivedere ogni piano di lezione nei termini di ciò a cui lo studente è possibile che pensi”.
Purtroppo, molte delle attività sopra descritte non superano questo test. Nella lezione che ho fatto sulla storia del calcio, la maggior parte dei miei allievi ha trascorso gran parte del tempo senza pensare alla storia, alla geografia o al calcio. Hanno trascorso la maggior parte del tempo a pensare come disegnare uno stemma e a colorarne i contorni. Si consideri la lezione di inglese su Romeo e Giulietta, che comporta la creazione di burattini. Ciò implica che gli alunni passino del tempo a pensare ai meccanismi di produzione dei burattini. Il che non vuol dire che la colorazione e la meccanica della loro produzione non siano importanti. Il problema è che questa lezione era una lezione di inglese che avrebbe dovuto riguardare Romeo e Giulietta. Se lo scopo della lezione era quello di insegnare agli alunni come fare un burattino, sarebbe stata una buona lezione…
Non solo questi tipi di attività falliscono nei loro obiettivi finali, ma poiché sono così dispendiosi in termini di tempo hanno anche un costo-opportunità molto significativo. Molti alunni del nono anno fanno solo una o due ore di storia a settimana. Se hanno due ore a settimana e trascorrono due ore per semestre a fare qualcosa come progettare un piatto stile Impero, o a rispondere a una serie di domande sulla loro personalità e usare le risposte per progettare uno stemma araldico, allora per un sesto del tempo in cui sono destinati a studiare storia, essi non stavano realmente pensando alla storia.
Un’ironia da notare è che questi tipi di lezioni sono spesso presentati come alternative fantasiose all’apprendimento meccanico. Tuttavia, dato ciò che sappiamo su come ricordiamo le cose, è paradossalmente questo tipo di programmazione didattica e di moduli che porta a un apprendimento noioso. Nella lezione sui burattini da Shakespeare, gli alunni avranno trascorso diverse lezioni in cui non hanno effettivamente pensato a Shakespeare o a Romeo e Giulietta. Le conoscenze e le competenze importanti a cui avrebbero dovuto pensare e con cui avrebbero dovuto impratichirsi sono state compresse e raccolte in poche lezioni, probabilmente in modo piuttosto meccanico. Se c’è una valutazione per questa unità, allora poiché non c’è stato abbastanza tempo nelle lezioni per pensare a tali fatti in modo significativo, l’unica soluzione per gli alunni che vogliono ricordare è imparare a memoria – cioè, imparare le nozioni in un modo che è spoglio di significato. Se si perde tempo-in-classe in attività distraenti e tangenziali, allora gli alunni finiranno per imparare a memoria e probabilmente disimparare le conoscenze e le competenze importanti che essi avrebbero dovuto assimilare in modo significativo.
Nel capitolo 2 abbiamo esaminato il successo dell’istruzione diretta. Ora possiamo capire esattamente perché è così superiore agli approcci alternativi, minimamente guidati, come i progetti e le attività. In quel capitolo, ho esaminato perché l’istruzione diretta e il continuo esercizio furono metodi così efficaci per Winston Churchill che non era un allievo particolarmente brillante. Ora vorrei mostrare perché un approccio artificiale basato sull’esercizio sia più efficace anche per gli alunni di grande talento.
Nel calcio, in definitiva si vuole che una squadra giochi in undici e vinca la partita. Ma il modo migliore per raggiungere questo obiettivo non è quello di far giocare i bambini una partita di campionato regolare sin da giovani. Proprio come con i progetti, si dovrebbe scomporre il problema complesso di vincere la partita in problemi più piccoli, più semplici, e impratichirsi su quelli. L’abilità fondamentale nel gioco del calcio è saper tenere il pallone. L’abilità individuale di base fondamentale deriva da questo essere capaci di controllare la palla, il che significa avere un buon primo tocco e saper effettuare e ricevere un passaggio. Churchill si rese conto che il principale elemento alla base della lingua inglese è la costruzione della frase. Si rese conto di quanto fosse prezioso “farsi le ossa” sulla struttura della frase inglese. Se non riesci a costruire una frase, non riesci a scrivere. Se non sei capace di controllare la palla, non puoi giocare a calcio.
Come ho dimostrato, convincere gli alunni a svolgere un sacco di compiti complessi spesso rende più difficile per loro raggiungere la padronanza dei principali elementi che compongono problemi complessi. Invece, può effettivamente portarli a dimenticarli o a trascurarli. Allo stesso modo, giocare partite in undici su veri campi da gioco tra bambini di undici anni quasi certamente non porterà quei bambini a padroneggiare la capacità di passare e controllare la palla. In Inghilterra, tuttavia, è così che insegniamo ai bambini a giocare il calcio. Nella fascia di età inferiore agli undici anni giocano essenzialmente lo stesso gioco che praticano gli adulti sui campi dei professionisti. Nei termini che ho usato, i bambini sono incoraggiati a tentare un compito complesso del mondo reale in tenera età. In Spagna e in America Latina, i bambini si concentrano molto, molto di più sulle abilità e sugli esercizi col pallone. Questi ultimi sono completamente privi di scopo e decontestualizzati. Non comportano il tentativo di segnare un gol; spesso si tratta di triangolazioni entro uno spazio molto piccolo, e spesso non ci saranno giocatori in opposizione o altro contrasto. Per un sacco di tempo, i bambini giocheranno a calcetto, una partita indoor a cinque giocatori con porte piccole e nessuna regola di fuorigioco; il gioco fu creato in Uruguay nei primi anni ’30.
Anche quando iniziano a giocare partite all’aperto, esse restano ridotte. In Spagna, i bambini non giocano partite a undici su campi normali fino a quando non raggiungono l’età di 14 anni. Il punto di tutte queste esercitazioni, regole speciali e piccole partite, è per i giovani calciatori quello di padroneggiare le abilità che veramente contano per il gioco da adulti. Il sistema spagnolo si è reso conto che non c’è bisogno di giocare in continuazione partite come gli adulti per sviluppare competenze in esse; infatti giocare all’infinito partite a undici su campi di normali dimensioni potrebbe non sviluppare la vostra esperienza. Per migliorare come calciatore, è necessario toccare la palla. Quando i bambini di 11 anni giocano partite a undici, non toccano la palla tanto quanto se stanno giocando partite più piccole, e molti giocatori a stento toccheranno la palla. La cosa funziona: i giocatori che compongono il club di maggior successo del mondo e le squadre nazionali a undici non hanno iniziato a giocare partite a undici sino a tre anni più tardi rispetto ai loro omologhi inglesi. Avranno avuto molto meno esperienza di giochi del mondo reale. Ma avranno avuto molta più esperienza in ciò che conta davvero nel gioco del mondo reale: controllare la palla.
Esattamente lo stesso problema riguarda l’insegnamento dell’inglese. In molte delle lezioni e dei progetti che ho discusso, gli alunni sono tenuti a completare il progetto facendo una prova scritta a tema libero – o una relazione, una e-mail, una lettera o un testo di natura argomentativa. Questo è visto come sufficiente per l’insegnamento dell’inglese. Ma in realtà, nella maggior parte di questi progetti, agli alunni non è stato insegnato a scrivere affatto. Gli è stato chiesto di scrivere qualche cosa, che non è affatto lo stesso. La conoscenza grammaticale, che è uno dei corpi fondamentali di conoscenza di cui si ha bisogno per essere in grado di scrivere bene, è a mala pena insegnata. Nelle 34 lezioni di inglese descritte nei due più recenti rapporti sull’argomento di Ofsted (Office for standards in Education, ndr), solo una cita un qualche riferimento alla grammatica:
Ad esempio, gli studenti più giovani apprezzano in particolare il modulo “Mr. Men”. Mentre questo potrebbe sembrare in superficie il fare domande limitate sulle abilità degli studenti delle secondarie, il lavoro comporta una grande quantità di analisi grammaticale e linguistica. Il modulo inizia con un’esplorazione della nozione di stereotipi. Gli studenti poi rivedono ed estendono la loro conoscenza della grammatica concentrandosi sull’uso di aggettivi, onomatopee e allitterazioni. Ciò porta ad un’analisi dei personaggi di “Mr. Men”, analizzando l’uso di queste tecniche da parte dell’autore prima che gli studenti creino il loro nuovo personaggio.
Sfortunatamente, l’onomatopeia e l’allitterazione non sono in realtà esempi di caratteristiche grammaticali. Sono dispositivi stilistici. Quindi l’unica lezione grammaticale lodata da Ofsted non è in realtà una lezione di grammatica. La confusione degli ispettori di Ofsted sulla grammatica non è insolita. Nei decenni successivi agli anni ’60, l’insegnamento della grammatica è fuori moda nelle scuole inglesi. Sebbene alcune delle precedenti iterazioni del NC (National Curriculum, con i programmi di studio per tutte le discipline, ndr) inglese hanno cercato di reintrodurlo, questo curriculum doveva essere svolto da insegnanti che non erano stati preparati sulla grammatica. Indagini condotte nel 1995 e nel 2002 hanno mostrato che gli insegnanti tirocinanti avevano significative lacune nelle loro conoscenze grammaticali che non venivano colmate. Così, anche se negli anni ’90 possono esserci state alcune pubblicazioni ufficiali sull’importanza della grammatica, in termini di pratica effettiva in classe non siamo ancora riusciti a superare il deficit di conoscenza causato dal declino dell’insegnamento della grammatica negli anni ’60. I rapporti di Ofsted che parlano di grammatica in modo improprio, lo dimostrano.
Forse è perché gli insegnanti e gli ispettori di Ofsted sono incerti sul tipo di conoscenza grammaticale che dovrebbero insegnare, che di conseguenza sono così restii dall’insegnarla. Quale che sia la causa, il risultato è che Ofsted incoraggia l’approccio da “culto del cargo”, che porta gli alunni a copiare ciò che fanno i veri scrittori invece di impegnare il tempo a imparare e a impratichirsi nelle conoscenze fondamentali che possiedono i veri scrittori. Tanto nel sistema scolastico inglese, quanto nel sistema del calcio è possibile confondersi senza che la vostra debolezza iniziale sia mai correttamente identificata e corretta. La Federcalcio inglese ha riconosciuto questo problema e sta cercando di riorganizzare il calcio giovanile in modo che i giocatori abbiano più possibilità per impratichirsi nei fondamentali. Le autorità educative inglesi, tuttavia, non hanno mostrato tale volontà di cambiamento. Come molti dei miti che abbiamo incontrato, questo ha nobili obiettivi e metodi terribili. L’obiettivo dell’istruzione dovrebbe essere che i nostri alunni siano in grado di risolvere da soli i problemi del mondo reale. Ma non lo raggiungeranno se iniziamo insegnando loro come se potessero già risolvere da soli i problemi del mondo reale.
[tratto da Seven Myths about education, Routledge, New York, 2017, pp. 101-104.
Dell’opera esiste una raccolta di estratti tradotti in italiano a cura di Oreste Rintallo, 2020]