Le prove INVALSI ci parlano

Non ci si può sempre nascondere dietro ad argomenti di qualche peso, che però evitano il bersaglio principale: l’evidente abisso che separa le valutazioni ordinarie delle scuole da quelle dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione.


La scuola attuale non è orientata all’apprendimento teorico. Pedagogisti influenti come Maragliano, come Novara, dichiarano senza imbarazzi che l’alfabetizzazione è un obiettivo di altri tempi, superato per sempre dopo gli ultimi sviluppi delle tecnologie digitali.

Sulla scia di simili concezioni estremiste, la scuola attuale vuole essere attivistica: un ambiente digitalizzato per l’apprendimento di competenze pratiche (compiti di realtà) e un centro di assistenza psicologica. Poiché l’apprendimento teorico è l’ultima preoccupazione della scuola, le prove INVALSI non possono non rilevare che gli alunni apprendono poco e male. Qui si apre una sorda lotta contro la realtà.

Far valere il risultato delle prove contro le valutazioni attribuite dalle scuole in modalità caritatevole significherebbe superare la fase attivistica e assistenziale iniziata con l’autonomia scolastica, per approdare a una scuola che prende sul serio l’alfabetizzazione ai fini della trasmissione della cultura e delle scienze. Manca però in Italia una cultura capace di prendere atto dei risultati disastrosi rivelati dalle prove INVALSI e di respingere come ingannevoli le valutazioni esaltanti delle scuole. In mancanza di questa capacità ci si arrocca su una concezione romantica della valutazione per difendersi dalla misurabilità del valore delle prestazioni, si consente che le prove INVALSI restino il più possibile estranee alle scuole e che le scuole continuino a ignorarle.

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