L’educativismo? Qualcuno lo riconobbe sessant’anni fa…
C’è chi si espresse con parole nette sulla pedagogia di stampo romantico che attribuisce al bambino capacità che ancora non possiede
Anche negli Stati Uniti, dove il tipo di educazione progressiva promossa da John Dewey e poi dal suo allievo William H. Kilpatrick produceva i suoi effetti nelle scuole di ogni ordine fin dai primi decenni del secolo scorso, non mancarono coloro che individuarono e stigmatizzarono il puerocentrismo ingenuo della loro pedagogia.
Tra i precursori della critica americana all’educativismo, cioè di quel modo di pensare per cui le tecniche dell’insegnamento (ricordiamo che in inglese la parola “education” vale come “istruzione”, “formazione scolastica”) hanno la priorità rispetto a ciò che è insegnato, mi piace ricordare la scrittrice Flannery O’Connor (1925-1964). Nel marzo 1963 ella scriveva, con tono ruvido, anticipando molti problemi della scuola di oggi:
“La nostra è la prima epoca della storia che ha chiesto al bambino che cosa tollerasse di imparare, ma questa è una parte del problema che non sono in grado di affrontare. Il demone dell’educativismo che ci possiede è di quelli che possono essere scacciati solo con la preghiera e il digiuno. Non è ancora arrivato nessuno abbastanza forte per farlo. In altre epoche l’attenzione dei bambini era catturata da Omero e Virgilio, tra gli altri, ma per il processo evolutivo inverso, questo non è più possibile; i nostri bambini sono troppo stupidi per entrare nel passato con la fantasia. Nessuno chiede allo studente se l’algebra gli piaccia o se trovi soddisfacente che alcuni verbi francesi siano irregolari, eppure, se preferisce Hersey a Hawthorne, il suo gusto deve prevalere” .
[da “Fiction is a subject with a history – it should be taught that way” in Georgia Bulletin, 21 Marzo 1963]
Sono passati più di sessant’anni da quando Flannery O’Connor ha denunciato i dannosi parossismi dell’educativismo negli Stati Uniti. Il male non è stato arginato come doveva ed esso è dilagato anche in Europa e in Italia, congiungendo le proprie forze a quelle degli altri seguaci di Rousseau cresciuti e beatificati in modo scriteriato: gli esiti sono sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. È giunto il momento di riconoscere che continuare a dare fiducia a una scuola puerocentrica non potrà che alimentare l’oscurantismo di una civiltà che ha in odio la trasmissione della conoscenza. Quali altri effetti può produrre l’idea che il bambino, senza essere corretto o “riempito di nozioni”, abbia già dentro di sé tutto ciò che gli serve per comprendere la realtà che lo circonda? E qual è mai, se non questo, il fondamento della scuola senza voti che ricorre tanto spesso nel dibattito corrente sulla scuola?
Questa follia ha uno strano alibi: lo sviluppo della persona sarebbe più importante del sapere.
Ma che cosa potrà mai sviluppare un’istruzione che non si preoccupa di trarre lo scolaro fuori dalla propria rozzezza primigenia? Come può essere volta al bene una persona che versa nel buio dell’ignoranza?
In fondo è semplice. Con la cieca obbedienza, o con la coercizione.