Lezione teorica vs lezione “super-affettiva”

È oggi dominante l’idea che l’attenzione degli insegnanti debba essere primariamente centrata sulla vita emotiva ed affettiva degli scolari e degli studenti. Ma è una vera necessità?


Diversi studi di tipo sperimentale falsificano la tesi secondo la quale una maggiore attenzione degli insegnanti alla vita emotiva ed affettiva degli allievi li aiuterebbe negli apprendimenti.

Anche E. D. Hirsch se ne è occupato all’interno di un’illuminante opera realizzata al preciso scopo di indagare le ragioni della catastrofe scolastica statunitense, che abbiamo recensito qui, e che, tra le altre cose, raccoglie gli esiti dei molti lavori che smentiscono le idee portanti della pedagogia oggi corrente. Ne riporto un brano significativo tratto dal capitolo V, intitolato non casualmente “La rivincita della realtà”.

Tra il 1973 il 1979, Brophy e i suoi colleghi condussero una serie di studi, nei quali prima scoprirono che negli anni alcuni insegnanti ottenevano sempre buoni risultati e altri ne ottenevano sempre di cattivi. Fecero precise osservazioni dei comportamenti degli insegnanti associati con i risultati scolastici buoni e di quelli associati con risultati scolastici cattivi. Gli insegnanti che producevano i risultati migliori erano concentrati sulla teoria. Erano cordiali ma pragmatici. Gli insegnanti che producevano i risultati peggiori usavano un’impostazione «pesantemente affettiva» ed erano preoccupati più dell’autostima e del benessere psichico del bambino che della teoria. Essi esageravano la cordialità, usavano le idee degli alunni, impiegavano uno stile democratico e incoraggiavano l’interazione tra gli alunni. I ricercatori trovarono inoltre che l’apprendimento procedeva meglio quando il materiale era un po’ nuovo e impegnativo, ma poteva anche essere assimilato con relativa facilità a ciò che gli alunni già conoscevano. II contrasto più grande non era fra i modi dell’istruzione teorica, ma fra l’istruzione teorica in generale e «l’apprendimento centrato sul discente e per scoperta», che era inefficace. Paradossalmente, gli alunni erano motivati e coinvolti più dall’istruzione centrata sulla teoria che dall’istruzione centrata sull’alunno [1]

Tra gli studi citati da E. D. Hirsch mi paiono rilevanti quelli svolti da Jere E. Brophy con Carolyn M. Evertson, che gettano luce su alcune dinamiche d’insegnamento-apprendimento nella scuola primaria che oggi troppo spesso vengono affrontate in modo sbrigativo, attribuendo ai metodi più tradizionali colpe inesistenti. In uno studio del 1974 leggiamo:

[…] Un’altra importante acquisizione della ricerca è che, nonostante ci sia una certa coincidenza, le variabili correlate all’efficacia dell’insegnamento nelle scuole con basso status socio economico spesso non sono le stesse variabili correlate all’efficacia dell’insegnamento nelle scuole con elevato status socioeconomico. In particolare, i dati suggeriscono che il consiglio standard del libro di testo rispetto a metodi come l’insegnamento indiretto, l’uso delle idee degli studenti e la frequente interazione tra studenti sono ottimali per gli studenti con elevato status socioeconomico ma non per quelli con basso status socioeconomico. Al contrario, gli studenti con basso status socio economico sembrano aver bisogno di un “sovra-insegnamento”, che privilegi frequenti interventi dell’insegnante sotto forma di lezioni e dimostrazioni, meno discorsi degli studenti, esercitazioni frequenti con feedback dell’insegnante, ritmo a piccoli passi e ripetizioni ravvicinate, e tecniche simili che comportano l’istruzione nelle abilità strumentali fino all’acquisizione dell’apprendimento.

Questi risultati, che sono in parte discordanti rispetto ad altri dati raccolti principalmente nelle classi di livello secondario e universitario, possono essere dovuti all’età degli studenti coinvolti. Il che significa che forse gli studenti delle scuole con elevato status socio economico hanno già acquisito competenze strumentali al punto da poterle usare per imparare in modo indipendente anche nelle prime classi, mentre gli studenti delle scuole con basso status socioeconomico dipendono ancora dall’insegnante per le indicazioni. In ogni caso, i nostri dati suggeriscono che, almeno nelle prime classi, il consiglio dei libri di testo riguardo alle tecniche didattiche risulta appropriato per gli studenti con elevato status socioeconomico ma non per quelli con basso status socio economico.

Altre scoperte sorprendenti sono state che calore, entusiasmo e chiarezza sembrano essere irrilevanti, sebbene le critiche e la negatività irragionevole siano negativamente correlate agli incrementi d’apprendimento. Cioè, sembra importante che l’insegnante sia una persona paziente e ragionevole, ma la frequenza del rinforzo dell’insegnante sembra non essere correlata all’apprendimento degli studenti, almeno a queste fasce d’età [2]

Questo studio non conferma solo quanto sopra affermato circa il ruolo dell’insegnamento troppo volto all’affettività, ma smaschera gli effetti deleteri di molte metodologie didattiche ritenute innovative ed emancipanti, e cioè il fatto che esse non fanno che incrementare lo svantaggio degli studenti più deboli.
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[1] E. D. Hirsch, Jr., Le scuole di cui abbiamo bisogno e perché non le abbiamo, trad. Paolo Di Remigio, Fausto Di Biase, Editrice Petit Plaisance, Pistoia 2024, pp. 170-171.
[2] Jere E. Brophy e Carolyn M. Evertson – University of Texas at Austin, “Teaching Young Children Effectively”, Published in Vol. 9, Numer 2, Spring 1974, Journal of Classroom Interaction, p. 7.

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