Nozioni e nozionismo
Il nozionismo si supera non con l’operatività manuale, ma con l’approfondimento bibliografico.
Nozionismo è una parola dispregiativa diffusa dagli anni Sessanta del secolo scorso, per indicare la conoscenza scolastica superficiale e frammentaria, incapace di fornire gli strumenti necessari per affrontare la vita. Il disprezzo che connota nozionismo si riverbera sulla parola da cui deriva, su nozione, al punto che i vocabolari, oltre a registrarne il significato tradizionale di elemento della conoscenza, gli aggiungono l’accezione negativa propria del suo derivato.
Il disprezzo che si accompagna ai due termini non è un sentimento esente da critiche; se infatti è preferibile la conoscenza profonda e sistematica alla conoscenza superficiale e frammentaria, la conoscenza superficiale e frammentaria è comunque preferibile all’ignoranza: la mancanza di intelligenza non è affatto attenuata, semmai aggravata, dalla mancanza di memoria. Nel disprezzo della nozione e del nozionismo opera dunque non il buon senso, ma il rifiuto della conoscenza teorica.
Esso ha due radici: quella empiristica della sopravvalutazione della conoscenza sensibile e quella messianica del rifiuto della realtà. La conoscenza sensibile ha certamente il vantaggio di essere appresa senza sforzo, ma anche il difetto di aderire all’aspetto casuale dell’esistente, il difetto del conformismo. Il messianismo è, al contrario, la ribellione all’esistente e il sogno di un mondo rovesciato; esso ha il vantaggio di assumere il contegno critico, ma il difetto dell’incapacità di autocritica, che ne esalta il soggettivismo e lo rende distruttivo. Il rifiuto della conoscenza teorica nasce in definitiva da due forme di immaturità: quella del conformismo e quella dell’anticonformismo.
La conoscenza teorica presuppone il rispetto per l’esistente, ma non consiste nella sua accettazione passiva. Essa mira infatti non al racconto apologetico degli avvenimenti, ma a distinguervi il casuale dal necessario e a fissare quest’ultimo nella forma di leggi universali. In quanto distingue il casuale dal necessario, essa critica; in quanto giunge alle leggi universali, essa critica la propria onnipotenza e riconosce, accanto alla propria, la dignità dell’oggetto. Viceversa, l’ostilità dell’empirismo e del messianismo alla conoscenza è una loro contraddizione interna: è la loro limitatezza che li porta a scorgere nella conoscenza soltanto chiacchiere; la loro critica non colpisce dunque la conoscenza, ma la loro concezione insufficiente della conoscenza.
La nozione, elemento minimo della conoscenza teorica, è la parola. A Platone, alla sua dottrina delle idee, si deve la chiara consapevolezza che la parola è in connessione necessaria con le altre parole. Ad Aristotele, suo allievo, si deve la consapevolezza della natura della connessione della parola: essa è subordinata e coordinata, è specie subordinata ai generi (che esprimono la sua necessità) e coordinata ad altre specie, ed è genere che detta una necessità alle sue specie. Questi rapporti necessari sono la base della logica, cioè del potere delle parole di esprimere la realtà e la sua necessità.
Se si è inconsapevoli della profondità logica della parola, se la si usa per semplice associazione a un’immagine, ne viene fuori un discorso arido e superficiale, privo di concretezza, dunque – se proprio si vuole – nozionistico. Ma è un gravissimo errore il tentativo di recuperare la concretezza saltando dal piano del linguaggio al piano dell’operatività sulle cose, come vogliono fare Rousseau, Dewey e la schiatta dei pedagogisti. Il cattivo uso di uno strumento non è un motivo per rinunciare allo strumento. I discorsi cessano di essere aridi e diventano illuminanti se chi li sviluppa ha approfondito il significato delle parole fino a scoprire la loro connessione in sistemi sempre più vasti di parole – la loro connessione filosofica.
Il problema dell’insegnante arido non è dunque il suo attenersi alle parole, ma l’ignoranza, il fatto che dietro le sue parole c’è un manuale miserevole, non una bibliografia. Il rimedio contro la sua aridità non è l’abbandono delle parole, ma l’approfondimento del loro contenuto logico. D’altro canto, anche il manuale miserevole, per il solo fatto di rendere note delle parole, svolge un compito superiore al nudo attivismo. Le parole, anche incomprese, anche dimenticate, non sono mai del tutto oscure e non svaniscono del tutto; dunque sono sempre suscettibili di essere risvegliate da altre parole. Averle è SEMPRE bene.