Paura del nuovo?
È possibile che la resistenza alla scuola sciatta e confusa sia solo il frutto di emozioni e sentimenti?
Ricorre, qui e là, l’argomento secondo cui gli insegnanti come noi – legati ad un’idea di scuola seria, esigente, dove si studi e si faccia studiare, senza cedere alla tentazione di sottrarre tante ore alla cultura per fare inevitabilmente male mille altre cose che spetterebbero alle famiglie o ad altri attori sociali – sarebbero vittime inconsapevoli delle proprie paure: paura del nuovo (in particolare delle tecnologie, dell’intelligenza artificiale, di macchine che bisognerebbe imparare ad adoperare); paura di smarrire il proprio ruolo rassicurante; paura d’essere emarginati, o addirittura di perdere il posto di lavoro…
È una sciocchezza davvero notevole. Non solo perché noi de il Gessetto siamo qui a dimostrare di non avere alcuna diffidenza verso la tecnologia, giacché la impieghiamo correntemente, un po’ ovunque; ma soprattutto perché non abbiamo mai inteso l’insegnamento come un potentato o un feudo da difendere dagli attacchi dei paladini della cosiddetta “scuola democratica”, che spesso sono invece molto affezionati all’idea di stare al centro dell’attenzione…
C’è tuttavia una piccola punta di verità nella loro accusa: noi abbiamo davvero paura. Ma di che cosa abbiamo paura, con esattezza? Abbiamo paura che la roboante e vuota neo-didattica, che la pedagogia lenitiva ed emolliente, che la scuola sciatta, confusa e priva di obiettivi chiari, le quali sembrano alleate nella lotta alla diffusione della conoscenza (poiché questa discriminerebbe gli ignoranti!) possano condurci difilato in gola alla barbarie. Sì, ho scritto “barbarie”. Non saprei come definire altrimenti un mondo dove la catena intergenerazionale della trasmissione della conoscenza sia spezzata; dove i paesi e le città si popolino di persone fragili, impreparate a comprendere la complessità del reale; dove gli individui seguano sempre il gregge, incapaci di pensare con la propria testa; dove gli uomini e le donne non tollerino i no! e insieme non sappiano pronunciarli ed argomentarli, quando toccasse a loro: così come oggi tocca a noi.