Rousseau e l’ira dei bambini
La natura è ambigua e non può guidare l’educatore.
Sopra la porta dell’Emilio è scolpita questa frase: «Tutto è bene quando esce dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera nelle mani dell’uomo». Essa sembra enunciare il principio dell’opera; ma nel suo proseguimento, anziché lo sviluppo, se ne presenta la smentita. Cinquanta pagine sotto leggiamo infatti:
«La predisposizione dei bambini all’ira, alla stizza e alla collera impone una grande attenzione. Boerhaave ritiene che la maggior parte delle loro malattie siano di natura convulsiva perché… sono particolarmente esposti all’irritazione nervosa. Allontanate da loro con ogni cura i domestici che li stuzzicano, li irritano e li fanno spazientire… Fino a quando i bambini troveranno resistenza solo nelle cose e mai nella volontà degli altri, non diverranno né ribelli né collerici e godranno di buona salute. Questa è una delle ragioni per cui i bambini del popolo, più liberi e indipendenti, sono generalmente meno cagionevoli e delicati, e più robusti di quelli che si pretende di allevare meglio contrariandoli senza tregua. Tuttavia, non bisogna dimenticare che c’è molta differenza tra l’obbedire ai loro capricci e il non contrariarli. I primi pianti dei bambini sono preghiere ma, se non si agisce con attenzione, diventano ben presto ordini; cominciano con il chiedere aiuto e finiscono con il farsi servire. Così dalla loro debolezza da cui deriva inizialmente il sentimento di dipendenza, si sviluppa in seguito l’idea del comando e del dominio; ma poiché questa idea è determinata, più che dai loro bisogni, dai nostri servigi, cominciano a questo punto a manifestarsi effetti morali la cui causa immediata non risiede nella natura. Ecco perché è così importante, fin dalla prima età, distinguere l’intenzione segreta che determina un gesto o un grido».
La sicurezza ostentata nel formulare il principio si rivela una spacconata appena Rousseau scende nella situazione particolare. Già nelle esigenze infantili più elementari, nelle quali il principio di affidarsi alla natura si dovrebbe manifestare con univoca semplicità («Osservate la natura e seguite la strada che vi traccia!»), Rousseau si trova disorientato da una realtà improvvisamente complessa: prima ancora di averlo assorbito dalle istituzioni umane, i bambini sono già inclini al vizio – ira, stizza, collera. Il vizio non è dunque il frutto amaro della degenerazione umana, ma è già nella natura.
Come affrontare questa inclinazione naturale al vizio? Fate come fa il popolo, consiglia il pedagogista: non contrariateli! Se la loro natura non è così buona come enuncia il principio primo, in ogni caso l’uomo non può che peggiorarla; dunque non opponete direttamente la vostra volontà a quella dei bambini, ma fateli scontrare con le cose! Così Rousseau è scivolato giù dal principio della perfezione naturale e si è afferrato a un altro principio, anzi al suo principio, quello dell’educazione indiretta, il modellamento segreto del bambino attraverso la predisposizione del suo ambiente. La serendipità maschera per ora l’incoerenza.
Ma il demone dell’incoerenza non si lascia esorcizzare con la ripetizione tenace che la «causa immediata» degli effetti morali «non risiede nella natura». Nelle prime fasi dell’infanzia, l’educazione indiretta è impossibile, perché l’ambiente del bambino non è ancora costituito dalle cose, ma soltanto dalle persone, dalla madre anzitutto. E allora non solo occorre rinnegare il principio della bontà naturale, ma cade, già prima di essere enunciato, anche il principio dell’educazione indiretta. Rousseau deve ammettere che «non dobbiamo contrariare i bambini, ma neanche possiamo obbedire ai loro capricci», vale a dire, poiché non obbedire ai loro capricci significa appunto contrariarli: «Non dobbiamo contrariare i bambini, ma dobbiamo contrariarli». E poiché dobbiamo eventualmente contrariare la natura, non possiamo affatto lasciarcene guidare, dobbiamo anzi indovinare la sua intenzione segreta – se sia determinata dalla richiesta di aiuto o dalla sete di dominio.
Così Rousseau smentisce il gesto incauto con cui, calunniato l’uomo, ha esaltato la natura; essa non è affatto buona, ma solo innocente. Essendo innocente, è anche ambigua; in quanto tale, non può guidare l’educatore. Solo l’intelligenza può distinguere la richiesta di aiuto dalla volontà di potenza, soddisfare la prima, deludere la seconda. Ma un educatore che si ispiri, anziché alle distinzioni dell’intelligenza, all’ambiguità della natura, non potrà che essere al tempo stesso un corruttore.