Rousseau, il padre controverso
Autore considerato capitale in molti ambiti, promuove idee a dir poco problematiche che pure hanno affascinato ed affascinano
Molti guru della nuova pedagogia esprimono un chiaro apprezzamento per il pensiero di Jean Jacques Rousseau (1712-1778), facendo riferimento soprattutto al suo testo pedagogico principale, l’Emilio (1762). In effetti Rousseau influenzò molte individualità di spicco, nel bene e nel male. Ricordiamo senza dubbio Robespierre, che lo considerava il proprio padre intellettuale; ma anche Dewey e Montessori, oltre che Marx, Goethe e Tolstoj…
Rousseau fu una penna straordinaria, un polemista facondo, eloquente, persuasivo. Molto sensibile alla tradizione moralistica che risale a Plutarco e giunge fino a Montesquieu, egli elaborò idee compiacendosi della loro paradossalità, accettando spesso di trovarsi in contrasto con sé stesso pur di contrastare gli altri. Il suo naturalismo, nato dall’impulso a fare tabula rasa di ogni tradizione, lo mise in urto perfino con gli illuministi che lo avevano dapprima sostenuto. Perciò, oltre che per forti ed insanabili difficoltà psicologiche e relazionali, Rousseau giunse ad un’aperta rottura con Voltaire, Hume, Diderot e col barone d’Holbach.
Limitandomi al difficile rapporto di Rousseau con la cultura e con i libri, voglio riportare qui alcune brevi citazioni tratte dal Discorso sulle scienze e sulle arti, del 1750, che donò la prima notorietà al pensatore ginevrino. Si può certamente discutere di come certe idee di Rousseau siano state esasperate dal desiderio di stupire il lettore, ma è un fatto che il suo rigetto della civiltà, della conoscenza, delle scienze e della pratica delle arti fu per lui una presa di posizione definitiva in favore dell’oscurantismo, che emergerà con forza anche nell’Emilio, dove, tra le altre cose, il suo autore, pur essendo un lettore accanito, si dichiara apertamente nemico dei libri.
Stiamo però al Discorso sulle scienze e sulle arti. Leggiàmone qualche passo significativo, che si commenta da sé, e dovrebbe indurre, tra le altre cose, anche ad una riflessione sulle possibili implicazioni pedagogiche.
L’Astronomia è nata dalla superstizione; l’Eloquenza è nata dall’ambizione, dall’odio, dall’adulazione, dalla menzogna; la Geometria dall’avarizia; la Fisica da una vana curiosità; tutte, perfino la Morale, dall’orgoglio umano. Le scienze e le arti, dunque, devono la loro nascita ai nostri vizi […]
Quanti pericoli! Quante vie sbagliate nella ricerca scientifica! Per quanti mai errori, mille volte più pericolosi di quanto la verità non sia utile, bisogna passare per arrivare ad essa! […]
Se le nostre scienze sono vane nell’oggetto che si propongono, sono ancor più pericolose per gli effetti che producono. Nate nell’ozio, a loro volta lo alimentano; e la perdita irreparabile del tempo è il primo nocumento che necessariamente arrecano alla società. In politica, come in morale, è un gran male non fare del bene, e ogni cittadino inutile può essere considerato come un uomo pernicioso […]
Rispondetemi – dico voi dai quali abbiamo ricevuto tante sublimi conoscenze: quand’anche non ci aveste fatto apprendere nulla di tutto ciò, saremmo forse meno numerosi, meno ben governati, meno temibili, meno prosperi, o più perversi? Ricredetevi, dunque, circa l’importanza delle vostre opere; e se i lavori dei nostri più illustri scienziati e dei nostri migliori cittadini ci procurano così scarsa utilità, diteci che dobbiamo pensare di quella moltitudine di scrittori oscuri e di letterati oziosi, che divorano in pura perdita la sostanza dello stato […]
Altri mali ancora peggiori van di seguito alle lettere e alle arti. Tale è il lusso, nato come quelle dall’ozio e dalla vanità degli uomini. Il lusso procede raramente senza le scienze e le arti, e mai queste senza quello […]
Mentre le comodità della vita si moltiplicano, mentre le arti si perfezionano e il lusso si estende, il vero coraggio si snerva, le virtù militari vengono meno, e questa è ancora l’opera delle scienze e di tutte quelle arti che si praticano nella penombra di uno studio […]
Se il coltivare le scienze è nocivo per le qualità guerriere, lo è ancor di più per le qualità morali. Fin dai nostri primi anni una educazione insensata arricchisce la nostra mente e corrompe il nostro giudizio. Vedo da ogni parte istituti immensi, dove si si alleva a ad alti costi la gioventù per insegnarle ogni cosa, eccetto i suoi doveri […]
Dio onnipotente, tu che tieni nelle tue mani gli spiriti, liberaci dai lumi e dalle funeste arti dei nostri padri, e rendici l’ignoranza, l’innocenza e la povertà, i soli beni che possano fare la nostra felicità e che siano preziosi al tuo cospetto […]
[J. J. Rousseau, “Discorso sulle scienze e sulle arti” in Scritti sulle arti, a cura di F. Bollino, Clueb, Bologna 1997, pp. 19-29].
Penso che basti, anche se chiunque può verificare che in Rousseau c’è molto altro che fa storcere il naso, pur tralasciando il fatto che – da grande educatore – abbandonò tutti i suoi cinque figli alla Carità pubblica… Se le premesse sono queste, possiamo dire che una pedagogia che vi affondi le radici è quantomeno controversa?
Ovviamente c’è chi non si pone il problema.
Rousseau è non solo il padre della pedagogia moderna come autore dell'”Emilio”, ma anche il teorico della democrazia diretta nel “Contratto sociale”. Questa coincidenza getta una luce rivelatrice sulla natura della pedagogia moderna.
La democrazia diretta è l’idea che sono libero solo se obbedisco a leggi di cui io stesso sono legislatore. Poiché investe del potere legislativo la persona privata, la democrazia diretta cancella la separazione tra pubblico e privato. Ma questa cancellazione è l’essenza del totalitarismo. Non a caso Rousseau ebbe tra i suoi ammiratori Robespierre e Saint-Just.
Nell’Emilio il totalitarismo si manifesta nella proposta che l’istitutore predisponga l’ambiente in ogni dettaglio in modo che l’educato, senza accorgersene, senza saperlo, perché l’altro non gli dice nulla, faccia tutto quello che l’altro vuole.
Il totalitarismo si manifesta in forma ancora più diretta nel discepolo americano di Rousseau, in Dewey: la sua scuola serve non come tramite tra il bambino e la conoscenza discorsiva (questa è continuamente derisa come ‘vecchia scuola’), ma come preparazione dei giovani al lavoro e alla partecipazione politica ai fini del cambiamento della società, cioè alla loro politicizzazione integrale. Non a caso Dewey piacque ai rivoluzionari bolscevichi degli anni Venti e al fascista Bottai che lo tenne presente nella sua “Carta della scuola”.