Salvaguardare la propria umanità nell’epoca della digitalizzazione forzata

La digitalizzazione forzata sta condizionando le capacità intellettive delle persone, modificando le strutture stesse della facoltà ragionativa.

Se tutti sono concordi nel considerare la digitalizzazione come un aspetto irreversibile del progresso umano – ma la storia ci insegna che nessun processo è irreversibile –, rimane il problema della particolare invasività e del potere enorme che le nuove tecnologie esercitano sulla vita di ogni individuo, fino a modificarne i caratteri antropologici culturali e persino fisici.
È indubbio, infatti, l’impatto che le nuove tecnologie esercitano sulla stessa fisicità e salute degli utenti: che gli appelli di osteopati riguardo i pericoli di posture prolungate al pc o nell’uso continuo degli smartphone, così come quelli degli oculisti sui rischi di una prolungata esposizione agli schermi siano completamente ignorati o censurati, è ovvio, dinanzi ai giganteschi interessi dell’industria digitale: ci ritroviamo infatti generazioni di giovani con precoci difetti visivi, ma di ciò nessuno parla e i grandi media ignorano tali problematiche.
Che l’era digitale stia cambiando la vita umana come, del resto, altri periodi della storia – si pensi alle innovazioni del Neolitico con la diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento e la conseguente stanzialità di vari gruppi umani, oppure ai cambiamenti introdotti nelle esistenze dalla rivoluzione industriale – è indubbio, ma i veri problemi sono le criticità insite nei mutamenti che essa comporta con la diffusione capillare, pervasiva e incontrollata dei mezzi informatici nella vita di ogni essere umano, ad iniziare dai suoi primi anni, in quel periodo, cioè, così delicato e fondamentale della formazione della personalità.

1. Bisogna, infatti, considerare due conseguenze essenziali della digitalizzazione forzata cui siamo ormai quotidianamente sottoposti: in primo luogo, la pervasività petulante dei social media divenuti una sorta di agorà mediatica dominata dal pettegolezzo, dalla chiacchiera più insignificante e becera e da una psuedoinformazione frammentata, inverificabile e deviante, in un coacervo grottesco di scemenze propagandate come legittime e libere opinioni. In proposito, Umberto Eco nel 2015 ebbe a dire che Internet ha permesso di rendere pubblici gli interventi di qualunque imbecille: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». E tale invasiva presenza ormai condiziona la vita e il tempo della maggioranza delle persone.

2. In secondo luogo, le modificazioni che la multimedialità e la comunicazione digitale hanno generato nella struttura mentale stessa delle persone, condizionandone le capacità intellettive, modificandone le strutture stesse della facoltà ragionativa: dal ragionamento consequenziale e concatenato per passaggi logici gerarchizzati si è passati alla sequenzialità orizzontale d’immagini e concetti, finestre che si aprono una dentro l’altra: ne è derivato un cambiamento nella stessa forma mentis delle persone, disabituate alla concatenazione razionale di concetti, tipica del procedimento logico-matematico.

3. Le stesse politiche dell’istruzione ne sono state influenzate, dapprima attraverso l’uso dei mezzi multimediali come strumenti in una visione ancora tradizionale dell’istruzione intesa come trasmissione e divulgazione del sapere, e poi, più recentemente, entro una visione basata sulla sostituzione della multimedialità stessa alle finalità tradizionali della formazione umana, alla quale viene richiesta soprattutto l’abilità di gestione e consultazione dei mezzi stessi, rispetto alla conoscenza effettiva dei contenuti che per secoli sono stati l’oggetto delle politiche dell’istruzione.
Sicché oggi non è più richiesta come componente essenziale della formazione culturale dell’individuo quel complesso di conoscenze assimilate e rielaborate personalmente in grado di porlo in una condizione di lettura critica del presente e delle situazioni in cui sarebbe venuto a collocarsi anche nella dimensione lavorativa: semmai, prevale l’istanza di abilità dell’uso, della consultazione e controllo dei mezzi digitali, considerati gli strumenti la cui adeguata manipolazione, con la conseguente scelta di informazioni, sostituirebbe quel bagaglio di conoscenze e nozioni da sempre considerate il fondamento della “cultura” di un individuo. E così si parla di “competenze” come essenziali elementi alla formazione scolastica, anche se in tal modo non si crea altro che una scuola che viene a ridursi a mera sede di addestramento pratico, riduttivamente finalizzato a una formazione aziendale lavorativa, facendole perdere quella caratteristica di agenzia culturalmente formativa in termini più ampi e generali, adeguati anche alle esigenze di un mondo del lavoro variegato, mutevole e richiedente capacità di riflessione critica e adattamento. Ma le imprese oggi, in una frammentazione sempre maggiore delle funzioni, chiedono abilità limitate e circoscritte, centrate soprattutto sul complesso delle capacità digitali e l’esito che si intravvede – anche alla luce di scioccanti fatti di cronaca sempre più diffusi e frequenti che hanno per protagonisti giovani disorientati, ignoranti, disadattati e privi di valori – è quello della creazione di una gioventù di robottini digitalizzati e decerebrati, depauperati cioè di quelle capacità critiche ritenute un tempo essenziali della formazione, ed anche privati di quelle conoscenze umane di sentimenti, passioni, ideali e valori fondanti una sana e completa personalità.

4. Inutile stupirsi, dunque, di quella deprivazione di umanità che sembra diffondersi sempre più nella nostra società, esclusivamente proiettata su una direttrice di utilitarismo, sicché tutto ciò che non risponde positivamente alla domanda “a che serve?” – un tempo esclusiva dell’individuo incolto – appare inutile, superfluo, privo di importanza: nell’istruzione l’esito di tale mentalità è l’accantonamento graduale degli studi umanistici, erroneamente considerati poco utili, inservibili ai fini delle esigenze del mondo produttivo: erroneamente, dicevo, perché in realtà si tratta di studi che, allargando gli orizzonti intellettuali ed emotivi, oltre ad avere una funzione formativa delle coscienze fornendo conoscenze ed esperienza dei sentimenti, delle passioni, delle problematiche individuali e sociali, si rivelano anche estremamente funzionali alla creazione di una forma mentis rigorosa e flessibile atta ad affrontare le problematiche emergenti in molte attività lavorative, oltre che dell’esistenza quotidiana.

5. Pertanto, evitare la fine dei personaggi del profetico romanzo Fahrenheit 451, robotizzati, narcotizzati e confinati da un potere onnipervasivo in un limbo artificiale di schermi e display, è possibile nella misura in cui, accanto alla utilissima confidenza con l’uso delle tecnologie, si riuscirà a mantenere la capacità di lettura tradizionale: per dirla con le parole del filosofo Galimberti, «è necessario riempire le scuole non tanto di computer (dai quali gli adolescenti sono ormai circondati) ma di libri di letteratura» perché è attraverso di essi che si costruisce una personalità consapevole delle pulsioni, delle emozioni, dei sentimenti, delle passioni, della realtà del mondo e si può imparare ad affrontarli e superarne i traumi. Comici risultano, pertanto, gli attuali tentativi di sostituire una formazione umanistica con raffazzonati e improvvisati corsi di “educazione civica” o “alla affettività”, che non si riducono ad altro che a goffi ed, infine, inefficaci esperimenti di indottrinamento a retorici valori conclamati superficialmente.
La vera umanità si può salvaguardare nell’attuale contesto mantenendo il controllo
razionale
ed anche emotivo degli strumenti che la tecnologia ci offre: impresa difficile e contrastata dinanzi ai formidabili interessi miliardari che guidano tale progresso: come impedire ad esempio ai ragazzi fino a 10-12 anni di usare il computer o il tablet, quando le industrie stesse spingono le politiche scolastiche in questa direzione, quando è però ormai appurato e dimostrato il danno intellettuale proveniente dall’uso precoce della digitalizzazione, soprattutto nei primi anni di alfabetizzazione e apprendimento, generando individui deprivati di qualunque capacità di attenzione e concentrazione? Si leggano in proposito saggi di esperti come Manfred Spitzer, neuroscienziato autore di illuminanti saggi quali Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi (2019) o Emergenza smartphone. I pericoli per la salute, la crescita e la società (2019), o di Roberto Casati, Contro il colonialismo digitale (2013) o di Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello (2010).
In vari paesi i governi stanno già facendo marcia indietro, ritornando ad esempio ad una alfabetizzazione di tipo tradizionale che, accantonati tablet e pc, si avvale della scrittura a mano, del disegno, insomma della manualità atta ad esercitare diverse aree del cervello coordinate con le funzioni psicomotorie fondamentali.
Sarò forse drastico e col rischio di apparire controcorrente e antiquato, ma condenserei la risposta al pericolo della digitalizzazione precoce e indiscriminata nella ricetta “cartacea” del mantenimento della cultura libresca (accanto a quella digitale), specificamente quella letteraria e divulgativa: il predominio della parola scritta, con la sua complessità concettuale e immaginativa e con l’istanza intellettuale decifratoria che impone è l’unica arma in grado di mantenere la lucidità e acutezza intellettuale in un’era che ci vuole sempre più massificati, conformisti, decerebrati e obbedienti al main stream del politicamente corretto!
E così forse impareremo anche a guardarci e difenderci da quella schiera di miliardari imprenditori “filantropi”, purtroppo oggi potentissimi e circondati da un alone di grande considerazione e fiducia, che vorrebbero forgiare totalitariamente il mondo secondo i loro perversi e folli progetti, da respingere in nome di quell’humanitas che sola può salvarci.

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