Sopore in collegio
I progetti incidono molto nella scansione del tempo scolastico, ma non si parla quasi mai della loro reale efficacia
Il Testo Unico (Decreto legislativo n.297/94) in materia di istruzione all’art. 7 chiarisce la composizione, i poteri, le funzioni e le finalità del collegio dei docenti all’interno delle scuole italiane.
Al comma 2, lettera (d) il testo recita: “[il collegio dei docenti] valuta periodicamente l’andamento complessivo dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica“.
Ebbene, io aspetto da lustri che, al di là dei freddi numeri riepilogati annualmente da qualche solerte collega capace di spremere fredde statistiche anche dagli sbadigli, arrivi il momento in cui si possa parlare dell’efficacia dei progetti, specialmente quelli più astrusi, che trasformano spesso l’orario settimanale in un gruviera sottraendo ore allo studio delle discipline curricolari. Quel momento però non arriva mai.
La scuola italiana – grazie all’assorbimento acritico del vecchio metodo dei progetti ideato negli Stati Uniti da W. H. Kilpatrick (1861-1965) – è diventata un luogo molto strano dove non si progetta più una cosa, come vorrebbe la parola, individuando i passaggi più idonei a realizzare quella cosa, in modo chiaro ed condiviso; no. Ora si progetta il progetto stesso, senza troppa attenzione al suo ineffabile fine, spesso riassunto in un paio di righe dall’astrattezza metafisica: e il cui raggiungimento non è mai oggetto di discussione collegiale a fine anno, ma semmai è confinato in qualche oscura relazione depositata nelle noiosissime stanze del potere.
I progetti scolastici dedicati a questioni capitali come “la corretta idratazione corporea” o “la tutela dei prodotti enogastronomici locali” hanno sempre anche una propria estetica: che consiste nell’originalità della proposta, del percorso da svolgere, e degli strumenti da impiegare, ma – così come s’usa dire per certa arte contemporanea – mirano più alla novità che a un dicibile punto di arrivo. Se questo punto di arrivo stesse davvero a cuore a qualcuno allora il collegio prenderebbe atto del suo raggiungimento o meno: nessuno progetterebbe mai una casa concentrando l’attenzione sulle tecniche edilizie, senza badare al risultato finale. Ebbene, verificare quale sia l’approdo dei nostri sontuosi progetti pare non interessi a nessuno.
E allora andiamo avanti così, facciamoci del male. Gli esseri umani, grazie all’abitudine, possono sopportare cose indicibili. Ma mentre il macchinone delle delibere collegiali consuma la carta e l’inchiostro del verbale, è quasi impossibile resistere al sopore che sopraggiunge presto, nel disorientamento generale: e nel sopore qualcuno già progetta altri progetti irti di svettanti pinnacoli inutili che diano volume ai nostri p.t.o.f., sempre più barocchi, sempre più votati alla meraviglia.