L’onnipotenza dell’insegnante
L’insegnante ha grandissime responsabilità, e può certamente sbagliare, ma non tutto dipende da lui.
«Il futuro sarà come sono le scuole di oggi»
L’insegnante ha grandissime responsabilità, e può certamente sbagliare, ma non tutto dipende da lui.
L’occidente (e la scuola) è in preda ad una furia patologizzante, che crea etichette emotive e psicologiche là dove solo pochi decenni fa c’erano le ineluttabili difficoltà della vita. Tutto ciò però non ha reso le persone più forti e capaci di affrontare il quotidiano.
È possibile pensare i cambiamenti intervenuti nella scuola italiana senza farsi ubriacare dai freddi dati, dai numeri delle statistiche e dalla pseudoscienza? Certamente sì. Le testimonianze sono ricche di note significative, e soprattutto fanno parlare le vecchie priorità, oggi sommerse da una giostra di obiettivi confondenti.
Presentiamo, a partire da oggi, alcune utili definizioni che accompagnano l’importante opera “Le scuole di cui abbiamo bisogno e perché non le abbiamo” di E. D. Hirsch, pubblicata nel 1996
Un confronto su cui riflettere: un’italo-spagnola ora insegnante nella scuola svedese ricorda il proprio percorso di studi nel paese dove è cresciuta.
Non è così infrequente che adulti e insegnanti si aggrappino a un’idea confusa di amore per sostenere la necessità di rendere la vita scolastica più facile del dovuto
Basta burocrazia! (Per brevità)
L’essere umano – si dice oggi – è resiliente: ma la sua resilienza va ben coltivata, altrimenti è perduta
Quale peso devono avere la metodologia o la psicologia nella formazione dell’insegnante? E la conoscenza della disciplina?
Si può certo apprendere con divertimento, con piacere (il piacere della scoperta riguarda anche gli scienziati); ma bisogna anche acquisire la capacità di lavorare (l’apprendimento è il mestiere dello studente) quando l’attività sia meno o per nulla divertente
L’atto di correggere è vissuto da troppe persone come una violenza sugli allievi. Con quali risultati?
Molti chiacchierano di “compiti di realtà”: ma non è realtà apprendere prima ciò che serve al dopo?